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Il disastro non è bastato

La tragedia della Costa Concordia costellata da deficit burocratici,  che ha colpito l’immagine del nostro Paese, ha fatto emergere quanto il sistema attuale non sia in grado di rispondere adeguatamente all’evolversi degli eventi, soprattutto emergenziali.
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Il disastro non è bastato

La tragedia della Costa Concordia costellata da deficit burocratici,  che ha colpito l’immagine del nostro Paese, ha fatto emergere quanto il sistema attuale non sia in grado di rispondere adeguatamente all’evolversi degli eventi, soprattutto emergenziali.
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Il disastro non è bastato

La tragedia della Costa Concordia costellata da deficit burocratici,  che ha colpito l’immagine del nostro Paese, ha fatto emergere quanto il sistema attuale non sia in grado di rispondere adeguatamente all’evolversi degli eventi, soprattutto emergenziali.
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La tragedia della Costa Concordia costellata da deficit burocratici,  che ha colpito l’immagine del nostro Paese, ha fatto emergere quanto il sistema attuale non sia in grado di rispondere adeguatamente all’evolversi degli eventi, soprattutto emergenziali.
Il corpo dell’ultima delle trentadue vittime del più grave naufragio della nostra storia recente fu trovato dopo tre anni, ormai scheletro, mentre erano in corso le operazioni di smantellamento nel porto di Genova. Un ultimo terribile tassello per una tragedia, quella della Costa Concordia, scolpita negli occhi e nella memoria di tutti noi. Sono passati dieci anni da quel 13 gennaio 2012 quando la nave da crociera finì contro uno scoglio a 500 metri dalle coste dell’isola del Giglio. Le immagini e il racconto sono una storia su cui, complice l’anniversario, si torna a discutere. A cominciare dalle parole dell’allora capo della Protezione civile Franco Gabrielli, nominato dopo le dimissioni di Guido Bertolaso. In un momento in cui era chiara e netta la separazione fra le responsabilità che la politica voleva assumersi e quelle che invece erano in capo a organismi come quello diretto da Gabrielli. Il quale non a caso racconta – in un libro dal titolo emblematico “Naufragi e nuovi approdi” – che al suo arrivo al Giglio venne accolto da uno striscione che recitava “Gabrielli, togli la nave cazzo”, parafrasando la frase del comandante Gregorio De Falco rivolta al capitano della Concordia Francesco Schettino. Perché quel che accadde lì, dopo il tragico naufragio, fu la rappresentazione di quello che molte altre volte è accaduto nel nostro Paese, incatenato a una burocrazia come sabbie mobili. In più quello era un momento complicato anche per altre ragioni: lo spread alle stelle, il rischio default, la speranza di risalita riposta nelle mani di Mario Monti. Fu una tragedia e l’ennesimo colpo all’immagine dell’Italia, con quel comandante che divenne lo zimbello del mondo intero e che poi stato è condannato a sedici anni di carcere. E ancora, il ridicolo tentativo di far approdare il relitto a Piombino, dove non c’erano né gli spazi né le strutture adeguate. A Gabrielli era stato affidato un budget di cinque milioni di euro: ne serviranno un miliardo e mezzo per completare le operazioni di recupero. Non si poteva essere preparati, ovviamente, a quello che accadde. Si cercò di correre ai ripari e lo si fece in modo non proprio memorabile. Una vicenda che avrebbe dovuto insegnare qualcosa e che invece, secondo Gabrielli, oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, poco ha cambiato nella capacità non tanto di reagire in caso di emergenza, ma di gestire l’evolversi degli eventi anche quando non ci si trova di fronte a eventi drammatici come questo. di Annalisa Grandi

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