Il piano dell’Europa per le emergenze: rifugi, torce e cibo in scatola
Nel nostro Continente siamo abituati a fronteggiare le crisi dopo che sono scoppiate, tanto a livello bellico quanto ambientale. Ora l’Ue vara un piano di prontezza, civile e militare, da applicare in 3 anni

Il piano dell’Europa per le emergenze: rifugi, torce e cibo in scatola
Nel nostro Continente siamo abituati a fronteggiare le crisi dopo che sono scoppiate, tanto a livello bellico quanto ambientale. Ora l’Ue vara un piano di prontezza, civile e militare, da applicare in 3 anni
Il piano dell’Europa per le emergenze: rifugi, torce e cibo in scatola
Nel nostro Continente siamo abituati a fronteggiare le crisi dopo che sono scoppiate, tanto a livello bellico quanto ambientale. Ora l’Ue vara un piano di prontezza, civile e militare, da applicare in 3 anni
Meglio prevenire che curare, dicono le persone assennate. Vallo a spiegare agli europei, si potrebbe aggiungere. Nel nostro Continente siamo abituati a fronteggiare le crisi dopo che sono scoppiate, tanto a livello bellico quanto ambientale. Piangiamo per i disastri naturali, ci riempiamo la bocca di intenzioni («Non accadrà più, dobbiamo essere preparati») che però non si concretizzeranno mai.
In un’epoca tanto instabile e difficile, l’Unione Europea tenta di mettere in atto una strategia complessiva di prontezza per fronteggiare a vari livelli (governativo, popolare, comunitario) le emergenze. Lo fa con un documento programmatico di 18 pagine (più 6 di allegati), in cui identifica 67 direttrici di intervento su cui lavorare da oggi al 2028. Si parla di definire processi operativi comuni, integrare pratiche ed equipaggiamenti per le protezioni civili, istruire i cittadini su come fronteggiare catastrofi e crisi (di origine naturale e umana), costituire scorte strategiche di materiali e beni di prima necessità, mettere in sicurezza asset e infrastrutture e così via.
Il piano, che prende il nome di “European Preparedness Union Strategy”, è in verità poco più di un documento di indirizzo. Certo, stabilisce con sufficiente chiarezza le aree di intervento ma non chiarisce i passi concreti necessari per portare a compimento gli obiettivi, non specifica le risorse finanziarie a disposizione, resta vago su alcuni punti programmatici. Che significa, per esempio, indirizzare in chiave di prontezza tutti i provvedimenti politici degli Stati membri (obiettivo da conseguire già nel 2025)?
Una cosa però il piano la fa piuttosto bene: recepisce le indicazioni dell’ex presidente finlandese Sauli Niinistö. Che nel suo rapporto aveva sottolineato come l’intera Europa debba essere preparata agli scenari peggiori in ogni ambito (bellici ma anche naturali). Questo significa partire dalla base: la consapevolezza da parte dei cittadini. Nei Paesi nordici è già realtà: tutti sono ben consci di cosa fare (almeno in caso di guerra), di cosa avere a disposizione e così via. Ma da noi, dove anche solo evocare l’idea di una crisi significa attirarsi gli insulti, l’operazione sarà più difficile. Eppure necessaria.
Nel piano si parla di istruire i giovani nelle scuole su come comportarsi in casi emergenziali. Si introduce l’idea di «prontezza personale per 72 ore». Significa che in caso di crisi i cittadini devono essere autosufficienti (come se lo Stato e i servizi non esistessero) per almeno tre giorni. Tradotto: devono poter sempre disporre di acqua e cibi non deperibili (per esempio quelli in scatola), bombolette di gas e fiammiferi, medicine e torce elettriche. Badate bene, non si parla soltanto di guerra (come titolano alcuni giornali). Questo discorso è validissimo anche per alluvioni, frane, fenomeni ambientali e climatici estremi e repentini (sempre più frequenti nella nostra Europa).
Il piano europeo segnala anche qualcosa di altrettanto importante: servono luoghi sicuri in caso di necessità. Luoghi che nel Nord del Continente (ma anche in Svizzera) esistono da sempre. In Finlandia, ad esempio, ci sono bunker sufficienti per quasi tutta la popolazione, e vengono attivati anche in caso di disastri industriali o tempeste particolarmente violente. Secondo l’Unione, anche da noi dovremmo iniziare a identificare dei rifugi. Sacrosanto e necessario, se vogliamo essere pronti a ogni scenario, anche il peggiore. Ma ora chi lo spiegherà agli italiani?
Di Umberto Cascone
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