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Follemente corretto. Dirazzando

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Negli ultimi anni, anche a seguito dell’esplosione del movimento Black Lives Matter, la scure del politicamente corretto si è abbattuta anche nel mondo della musica

Follemente corretto. Dirazzando

Negli ultimi anni, anche a seguito dell’esplosione del movimento Black Lives Matter, la scure del politicamente corretto si è abbattuta anche nel mondo della musica
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Follemente corretto. Dirazzando

Negli ultimi anni, anche a seguito dell’esplosione del movimento Black Lives Matter, la scure del politicamente corretto si è abbattuta anche nel mondo della musica
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La politica, l’ideologia e il politicamente corretto inquinano tutto: dalla stampa alla tv, dalla letteratura alle scienze. Però non tutti gli ambiti sono ugualmente attaccabili. Ci sono ambiti ultra-permeabili – come il giornalismo, la letteratura, le scienze sociali – e ambiti quasi impenetrabili, come la fisica e la matematica. E la ragione è semplice: tutto dipende dal grado di neutralità intrinseca di ogni ambito culturale. Se scrivi un romanzo, le tue preferenze e i tuoi valori contano molto, quindi può avere senso (almeno per i fanatici) chiedersi quanto un dato testo sia politicamente corretto. Ma se dimostri un teorema o scopri una nuova legge fisica, chiedersi quanto quel teorema o quella legge siano politicamente corretti è semplicemente illogico (anche se qualche fanatico ci prova). È per questo che il politicamente corretto è particolarmente invasivo in ambiti come l’informazione, il cinema, le discipline umanistiche, la letteratura, l’opera e persino la mitologia e le arti figurative. Si potrebbe supporre che, oltre alla matematica e alla fisica, lo scudo delle neutralità protegga anche la musica. Dopotutto, una sequenza di note non è più politica di una sequenza di simboli matematici. E invece no. Negli ultimi anni, anche a seguito dell’esplosione del movimento Black Lives Matter, la scure del politicamente corretto si è abbattuta anche nel mondo della musica. E lo ha fatto non solo là dove al testo musicale si accompagnano delle parole (come nelle canzoni o nell’opera lirica), ma dove la musica è per così dire muta: pura sequenza di note, senza parole né canto. Per il teorico (nero) della musica Philip Ewell la musica classica è razzista e discriminatoria per il fatto stesso di essere basata su un ordine rigoroso e su gerarchie armoniche. Gli attacchi alla musica si possono utilmente ordinare lungo una scala di assurdità. Un testo musicale può cadere sotto gli strali del fanatismo woke per almeno 5 motivi, via via più demenziali. La censura di opere e autori non è tutto, però. Accanto a essa proliferano anche altre pratiche. Ad esempio quella di scusarsi di essere bianchi da parte di dirigenti di grandi istituzioni musicali, come il presidente della Los Angeles Opera (Christopher Koelsch) o il capo della League of American Orchestra (Simon Woods), a quanto pare convinti che la whiteness sia una colpa. Oppure il licenziamento di chi resiste alle intimidazioni dei censori (è successo a Dona Vaughn, direttrice dell’opera alla Manhattan School of Music). Ma le pratiche più inquietanti sono quelle con cui si pretende di aumentare la presenza di musicisti neri nelle orchestre americane, da sempre molto sbilanciate a favore dei bianchi. Peccato che il rimedio usato – impedire ai giudici di vedere i musicisti, per evitare favoritismi pro-bianchi e discriminazioni – si sia rivelato un boomerang: il “daltonismo” dei giudici nelle “audizioni alla cieca” finiva per premiare il merito, non la razza. Ora è considerato discriminatorio. Di Luca Ricolfi

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