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Immigrati: emergenza e opportunità

Immigrati: emergenza e opportunità

Il fenomeno migratorio descritto dal Governo Meloni come “emergenza” anziché come necessità. O opportunità
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Immigrati: emergenza e opportunità

Il fenomeno migratorio descritto dal Governo Meloni come “emergenza” anziché come necessità. O opportunità
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Immigrati: emergenza e opportunità

Il fenomeno migratorio descritto dal Governo Meloni come “emergenza” anziché come necessità. O opportunità
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Il fenomeno migratorio descritto dal Governo Meloni come “emergenza” anziché come necessità. O opportunità
È di gran moda il termine “emergenza“, certificato anche dallo “stato di emergenza“ voluto dal governo Meloni per poter affrontare la questione migratoria con più strumenti, più agilità e soprattutto in deroga parziale ad alcune delle nostre stesse regole. Sarebbe però bene accantonare il concetto stesso di “emergenza”, sostituendolo con “immanenza”. Perché non soltanto con il fenomeno migratorio saremo chiamati confrontarci per decenni, ma soprattutto perché continuiamo a invocare uno scatto. Il passaggio a un piano concettualmente diverso: l’immigrazione come necessità e opportunità. Altrimenti finiremo per continuare a rinfacciarci cifre che di per sé smentiscono anni di narrazioni e polemiche: in questo 2023, in pieno governo di centrodestra, gli sbarchi sono aumentati del 300%, i soccorsi in mare delle vituperate (da alcuni) Organizzazioni non governative sono rimasti gli stessi, mentre le donne, i bambini e gli uomini salvati in operazioni di ricerca e soccorso (Sar) sono sei volte quelli del 2022. Potremmo agevolmente inchiodare la maggioranza ai suoi stessi proclami e paroloni. Solo che il gioco sarebbe squallido e certamente inutile. Ci sono altri numeri da sottolineare, su cui più volte abbiamo richiamato la vostra attenzione: nell’ultimo “click day” le domande d’ingresso sono state 252mila, contro le poco più di 82mila previste nel primo “decreto flussi” del governo Meloni. Peraltro in aumento rispetto all’anno precedente. Fermiamoci e proviamo a sintetizzare: c’è fame d’Italia e c’è fame di immigrati. Una realtà che chiunque abbia realmente a cuore il futuro della nostra manifattura, della nostra agricoltura e anche del nostro welfare dovrebbe studiare sin nei minimi dettagli. Perdendoci magari la notte, ma non certo del tempo a inseguire fantasmi ridicoli o la pancia di qualche ultras. Sugli immigrati più formati e qualificati è in corso una concorrenza spietata in seno all’Unione. Una ‘gara’ in cui l’Italia è perdente, vissuta come luogo di approdo e transito dalla stragrande maggioranza di chi arriva sulle nostre coste e lasciata colpevolmente da sola da Paesi che si mostrano sveltissimi nell’attrarre cervelli e manodopera qualificata. Tornando ai numeri, le ridistribuzioni – secondo gli accordi europei risalenti ad appena un anno fa – dovrebbero toccare le 10mila unità, ma il meccanismo è stato partorito su base volontaria (per trovare un punto di equilibrio con i recalcitranti Paesi allora invocati come modelli dall’opposizione oggi governante) e così ci si è fermati a poco più di 8mila migranti da distribuire. In teoria, perché dall’Italia ne sono partiti 582. Avete letto bene: una miseria e un fallimento. È evidente che da qui si debba ripartire, come resta solare l’inutilità dell’alzare la voce con il solo risultato di irritare la pubblica opinione di quei Paesi i cui governi avranno poi una facile scusa per fare orecchie da mercante. È il momento della pressione intelligente, della diplomazia accurata, del lavoro nei corridoi e nelle stanze di Bruxelles, dove da sempre altri si mostrano più furbi e attenti di noi. Conviene anche guardare vicino casa: il ministro del Lavoro austriaco, l’economista Martin Kocher, parlando con “Il Sole 24 Ore” ha lamentato la carenza di manodopera qualificata nel Paese, invocando «un’immigrazione “mirata”. Un sistema di accesso agevolato al mercato del lavoro, basato su criteri chiari». Peraltro, in Austria hanno varato una riforma che ha portato a un aumento del 50% delle richieste di ingresso e dei permessi di soggiorno. I Paesi si organizzano e molti possono farlo senza la terribile pressione a cui è sottoposta l’Italia lungo le proprie coste. È più facile per quei governi e quelle opinioni pubbliche voltarsi dall’altra parte davanti alle insostenibili notizie delle tragedie nel Mediterraneo. Roba ‘lontana’. Persino in Italia c’è voluta Cutro per tornare a scuoterci sino alle viscere, mentre lo stillicidio quotidiano di certe notizie viene vissuto come indistinto sfondo di un fenomeno estraneo. Che invece parla di noi. di Fulvio Giuliani

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