Dopo Jobs venne Jensen Huang
Alla fame e alla follia Jensen Huang ha sostituito l’augurio per gli studenti al dolore e alla sofferenza per potersi temprare e preparare alla vita
Dopo Jobs venne Jensen Huang
Alla fame e alla follia Jensen Huang ha sostituito l’augurio per gli studenti al dolore e alla sofferenza per potersi temprare e preparare alla vita
Dopo Jobs venne Jensen Huang
Alla fame e alla follia Jensen Huang ha sostituito l’augurio per gli studenti al dolore e alla sofferenza per potersi temprare e preparare alla vita
Alla fame e alla follia Jensen Huang ha sostituito l’augurio per gli studenti al dolore e alla sofferenza per potersi temprare e preparare alla vita
La nostra società non è più abituata ai concetti di dolore e sofferenza, intesi come passaggi talvolta necessari alla crescita dell’individuo. Da questo punto di vista le differenze con le culture orientali sono da sempre profonde, figurarsi oggi. Possono addirittura apparire abissali, dopo aver letto o ascoltato le dichiarazioni del cofondatore e amministratore delegato di Nvidia Jensen Huang, rivolte agli studenti della Stanford School of Business in California. La platea era strutturalmente diversa da quella a cui si rivolse tanti anni fa, in un discorso divenuto ben più che celebre, il fondatore della Apple Steve Jobs con il suo «Siate affamati, siate folli», ma sarebbe impossibile non cogliere il parallelo offerto dalla location: Stanford è l’ateneo considerato la culla dell’innovazione tecnologica mondiale. Huang, infatti, vi è andato anche per presentare i nuovi progetti dell’azienda – un tempo famosa sostanzialmente per le schede grafiche dei computer – nell’universo dell’intelligenza artificiale, nel quale il ceo l’ha lanciata con risultati semplicemente straordinari. Meno in questo specifico caso, almeno in Borsa, ma questo è un altro discorso.
Alla fame e alla follia Jensen Huang – nato a Taiwan e trasferitosi negli Stati Uniti a nove anni, mantenendo degli evidenti tratti culturali delle proprie origini – ha sostituito l’augurio al dolore e alla sofferenza, per potersi temprare e preparare ad affrontare una vita sempre più competitiva e zeppa di ostacoli sul cammino di chi non si accontenti (sottinteso) dell’ordinario e della routine. Diciamola tutta: sull’ipotesi che il «Vi auguro dolore e sofferenza» possa sostituire su magliette e tazze il «Siate affamati, siate folli» di Jobs non vale neppure la pena perder tempo, perché l’augurio del capo di Nvidia è sostanzialmente estraneo alla nostra sensibilità. Ci guarderemmo bene dal replicarlo parlando a studenti di qualsiasi età – questione di cultura e tradizioni – ma faremmo bene a non fermarci alla superficie. Perché è indiscutibile il danno che si sta facendo alle nuove generazioni di casa nostra (pur con le migliori intenzioni) sforzandoci in ogni modo di cancellare dal loro orizzonte anche l’idea stessa, se non della sofferenza, quantomeno della fatica. Quella bella, beninteso, non fine a sé stessa. Parliamo della sensazione inebriante che dà l’aver impiegato il meglio delle proprie risorse psicofisiche per fare qualcosa che il giorno prima non si sarebbe stati in grado di fare. Mostrare di valere di più e sorprendere innanzitutto sé stessi è possibile solo accettando le sfide più complesse. Rifiutando l’idea del sempre uguale e della ripetizione ossessiva di quel poco o tanto che si è imparato.
Lasciamo pure da parte il dolore (che ce n’è già troppo intorno a noi), ma ansia di conoscenza, esperienza, novità e nuovi traguardi teniamoceli stretti. Ogni giorno, piuttosto che proteggere a tutti i costi i nostri figli dalla realtà, potremmo cominciare a cercare l’equilibrio fra il descrivere i rischi a cui vanno incontro se dovessero presentarsi alla vita impreparati e le magnifiche opportunità che potrebbero cogliere se soltanto lo volessero. Non si tratta di spaventare nessuno, ricordando che senza un’adeguata formazione e la consapevolezza dell’aggiornamento continuo li può attendere l’espulsione dal mercato. Si tratta di raccontare come funziona il loro mondo.
Non limitiamoci a sorridere delle parole di Jensen Huang, non archiviamole perché espressione di un’altra realtà ma facciamo tesoro della sostanza. Per ricordare a noi adulti la necessità di cambiare registro, accettando critiche e contestazioni – tanto per cominciare dai ragazzi e ben venga – poi dai tanti ‘grandi’ che spesso sono in realtà i primi a cercare la pappa pronta e qualche colpevole a cui affibbiare la responsabilità delle proprie mancanze.
di Fulvio Giuliani
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