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John Lennon, l’ipocrisia e i figli che soffrono

Dopo le dure parole di Julian, figlio di John Lennon e della sua prima moglie Cynthia, usate nei confronti del padre, l’autore di “Imagine” come eroe pacifista esce ridimensionato.
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John Lennon, l’ipocrisia e i figli che soffrono

Dopo le dure parole di Julian, figlio di John Lennon e della sua prima moglie Cynthia, usate nei confronti del padre, l’autore di “Imagine” come eroe pacifista esce ridimensionato.
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John Lennon, l’ipocrisia e i figli che soffrono

Dopo le dure parole di Julian, figlio di John Lennon e della sua prima moglie Cynthia, usate nei confronti del padre, l’autore di “Imagine” come eroe pacifista esce ridimensionato.
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Dopo le dure parole di Julian, figlio di John Lennon e della sua prima moglie Cynthia, usate nei confronti del padre, l’autore di “Imagine” come eroe pacifista esce ridimensionato.
«Papà parlava di pace e amore ad alta voce al mondo, ma non alle persone che avrebbero dovuto significare di più per lui: sua moglie e suo figlio. Come puoi parlare di pace e amore e avere una famiglia distrutta dall’adulterio e dal divorzio?». Sono parole di Julian, il figlio di John Lennon e della sua prima moglie Cynthia, abbandonata per Yoko Ono quando lui aveva solo cinque anni. Lo so: non bisogna commettere l’errore di considerare una star un riferimento morale, e sarebbe meglio non giudicare, ma John Lennon come eroe pacifista esce ridimensionato dalla propria biografia. Giorgio Gaber diceva: «Non credete mai a un uomo con un microfono in mano». Per l’appunto. Del resto John era un ragazzo difficile che l’immenso successo mondiale, nell’arco di pochi anni, aveva trasformato in un mito, grazie al grande impatto mediatico del suo atteggiamento: una scelta che, nel suo percorso di vita, non ha fatto prigionieri. Nemmeno suo figlio. Julian non ha mai smesso di ripeterlo – nella sua infanzia e, più tardi, durante tutta la sua vita, la sua figura di riferimento è stata Paul McCartney: ha continuato a frequentarlo, seguirlo, incoraggiarlo e ha scritto per lui “Hey Jude”, un inno meraviglioso, con un refrain giusto perché un bambino lo canti, come un mantra, per sentirsi accolto e protetto. Julian è cresciuto, è diventato un cantautore di successo internazionale, poi un regista affermato. Ma è rimasto un uomo solo: «Non voglio che possano nascere bambini che, per colpa mia, debbano soffrire ciò che ho sofferto io». Nel 2011 lo staff che organizza il secondo matrimonio di Paul dimentica di invitarlo. Per Julian è una batosta tremenda. Per reazione pubblica “I don’t wanna know”, una divertente e feroce presa in giro dei Beatles, oramai vecchietti (Paul con una giovane badante…), che vengono travolti dal traffico mentre cercano simbolicamente di attraversare la Abbey Road. Nancy Shevell, la nuova moglie di Paul, impiega cinque anni per farsi perdonare. Una festa a sorpresa, nella quale una lista segreta di invitati attende l’arrivo di Julian e canta in coro l’inno al piccolo bimbo dagli occhi immensi. Quello che, cinquant’anni anni prima, aveva perduto il padre per colpa della musica, del successo, di una donna esotica, di chissà cosa: un bambino di cinque anni se ne frega dei motivi. Pare che Julian, profondamente commosso, abbia cantato una delle sue canzoni più belle, “All too late for goodbye” e che poi tutti abbiano gridato il coro di “Hey Jude”. E non esiste bimbo al mondo che abbia mai avuto una ninna nanna simile.   di Paolo Fusi

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