“Killfie”, morire per un selfie
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Dal 2008 al 2021 i “Killfie” hanno provocato nel mondo un morto ogni dodici giorni. Immortalarsi con i selfie a costo della vita.

“Killfie”, morire per un selfie
Dal 2008 al 2021 i “Killfie” hanno provocato nel mondo un morto ogni dodici giorni. Immortalarsi con i selfie a costo della vita.
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“Killfie”, morire per un selfie
Dal 2008 al 2021 i “Killfie” hanno provocato nel mondo un morto ogni dodici giorni. Immortalarsi con i selfie a costo della vita.
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AUTORE: Annalisa Grandi
Li chiamano “Killfie” e dal 2008 al 2021 hanno provocato nel mondo un morto ogni dodici giorni. Sono l’emblema dell’afflato narcisistico portato all’estremo, quella voglia che diventa ossessione di immortalarsi e postare foto per catturare like. Solo che in questo caso lo si fa a rischio della vita, perché i luoghi in cui ci si immortala con i selfie sono estremi e pericolosi. Il giovane di Rovigo morto per recuperare il cellulare, caduto mentre lui e la fidanzata si stavano scattando uno di questi “selfie estremi”, è solo l’ultimo caso in ordine di tempo. A cui sono seguite le consuete polemiche, che in questo caso hanno coinvolto anche la coppia social per eccellenza, ovvero Fedez e Chiara Ferragni. Che con un tempismo davvero discutibile hanno pubblicato una loro immagine in cima a una scogliera a Ibiza, dove sono in vacanza. Vista la tragedia dei giorni scorsi si poteva tranquillamente evitare, anche per il prevedibile effetto emulazione. Ma questa “moda” degli autoscatti al limite non inizia certo con loro due. In tutti quanti noi c’è una dose di narcisismo che i vari social non fanno che alimentare, la differenza però qui sta nel fatto che pur di catturare l’attenzione si mette a rischio la propria vita.
È un po’ lo stesso principio che sta dietro ai filmati, quelli soprattutto su TikTok, dei ragazzini che si divertono a picchiare coetanei e che lo fanno proprio per vantarsi online. Come se la dimensione virtuale fosse più importante di quella reale, come se ci si muovesse in uno spazio etereo privo di conseguenze. La perdita del contatto con la realtà è un rischio concreto, fino anche al più tragico epilogo. A rimetterci la vita, secondo l’ultimo rapporto Eurispes, sono nel 70% dei casi persone con meno di 30 anni: è chiaro che i giovanissimi sono più sensibili al richiamo di queste folli mode, ma non ne restano immuni neanche i più adulti, che invece ci si aspetterebbe essere in grado di valutare il rischio di certi comportamenti. Senza voler demonizzare i social network, che ormai sono diventati parte integrante della nostra vita, rimane il tema di come un universo virtuale riesca a influenzare e condizionare i comportamenti.
Fino a spingere le persone a comportamenti al limite: a fine luglio un turista inglese era morto decapitato dalle pale di un elicottero. Era sceso per farsi un selfie proprio davanti al velivolo. Sullo sfondo rimane il tema di un universo, quello online, dove tutto si può postare e ben poco viene “censurato”. Perché alla fine basterebbe disinnescare il meccanismo all’origine. E sarebbe utile anche che chi di followers ne ha milioni, desse magari il buon esempio.
Di Annalisa Grandi
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