L’ottimismo dei quindicenni
Secondo uno studio appena pubblicato su “Science”, i quindicenni del mondo (Italia compresa) sono più ottimisti di quanto si possa immaginare
L’ottimismo dei quindicenni
Secondo uno studio appena pubblicato su “Science”, i quindicenni del mondo (Italia compresa) sono più ottimisti di quanto si possa immaginare
L’ottimismo dei quindicenni
Secondo uno studio appena pubblicato su “Science”, i quindicenni del mondo (Italia compresa) sono più ottimisti di quanto si possa immaginare
C’è qualcosa di profondamente dissonante nel contrasto fra lo sguardo fiducioso che molti adolescenti lanciano al futuro e la realtà con cui dovranno presto fare i conti. Secondo uno studio appena pubblicato su “Science”, i quindicenni del mondo (Italia compresa) sono più ottimisti di quanto si possa immaginare. Si aspettano una vita migliore di quella dei genitori, un lavoro più prestigioso, una posizione sociale più elevata. Ma siamo davvero pronti a non tradire le loro aspettative? Il dato che colpisce di più è che questo ottimismo è più marcato proprio nei Paesi in cui la disuguaglianza è più forte. Un paradosso solo apparente. In contesti segnati da forti divari di reddito si rafforza il bisogno di credere che l’impegno e lo studio possano cambiare il destino. È la narrativa della meritocrazia che prende il posto della mobilità reale.
Nonostante abbiamo un Ministero dell’Istruzione e del Merito, quest’ultimo resta evocato a parole e disatteso nei fatti. L’ascensore sociale è bloccato, chi ha talento deve ancora combattere contro barriere invisibili ma solidissime: la provenienza geografica, il capitale culturale familiare, il reddito dei genitori. La retorica del merito rischia così di diventare una copertura ideologica per nascondere l’assenza di vere pari opportunità.
Ed è qui che l’Italia si scopre vulnerabile. Perché se è vero che nella percezione dei giovani l’istruzione resta il principale strumento di riscatto, è altrettanto vero che il sistema scolastico italiano fatica a colmare i divari sociali. Al contrario, spesso li replica. Le possibilità per un ragazzo del Sud Italia – con genitori poco scolarizzati – di accedere a un’università prestigiosa o a un lavoro qualificato restano drammaticamente inferiori rispetto a chi nasce in un contesto più fortunato. La retorica del “se vuoi, puoi” è tanto rassicurante quanto ipocrita se non si investe davvero nel creare le condizioni per cui il merito conti più del censo.
“The Economist” ha parlato di “ereditocrazia”, descrivendo un mondo – l’Italia in particolare – dove l’ascensore sociale si è rotto e la destinazione dipende sempre più dalla posizione di partenza. Ma noi continuiamo a raccontare ai ragazzi che bastano talento e volontà per arrivare ovunque. È una narrazione fragile che può reggere finché dura l’entusiasmo dell’adolescenza, ma che rischia di trasformarsi in frustrazione bruciante quando la realtà si presenta per quella che è: bloccata, opaca, iniqua.
Lo studio di “Science” si chiude con un ammonimento: se la fiducia non trova corrispondenza in un sistema che la sostiene, si trasforma in disillusione. Ma forse dovremmo essere più netti: quando la speranza viene tradita troppo a lungo, non produce solo scoraggiamento. Produce rabbia. Produce ritiro, disaffezione, fuga. O, peggio ancora, l’abbandono dell’idea stessa che lo sforzo individuale abbia un valore. L’ottimismo dei quindicenni non è una notizia consolante. È un test per la classe dirigente. Investire in istruzione, innovazione e inclusione non è una generica opzione progressista. È una questione di tenuta sociale. È la differenza fra una fiducia che si trasforma in energia collettiva e un’illusione che si schianta contro le pareti dell’immobilismo.
Ai ragazzi che sognano di migliorare il mondo oggi dobbiamo restituire almeno un pezzo di mondo in cui provarci.
di Ilaria Donatio
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Tag: giovani
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