È inevitabile che la guerra sia il fil rouge che accomuna tutte le trasmissioni televisive di queste settimane. È però evitabile che in nome dello share si facciano scelte che rischiano di trasformarsi in boomerang. Abbiamo visto cosa è accaduto con il Covid e sappiamo come funziona la grande macchina televisiva: le liti, gli scontri, le polemiche fanno salire gli ascolti ben più di conversazioni pacate e voci unanimi. C’è naturalmente la difficoltà di chi fa giornalismo nel trattare temi così complessi, con sfaccettature che non sempre sono immediatamente comprensibili neanche a chi nel mondo dell’informazione ci lavora. Resta però il fatto che se una certezza è emersa, in queste settimane, è che tutto l’Occidente è compatto e unanime nella condanna ferma di quello che sta avvenendo in Ucraina.
Non è un bello spettacolo vedere che in certe trasmissioni si cerca invece di dar voce ad altre verità quando di verità ce n’è una sola. Per quanto oggi possa forse pagare in termini di ascolti provare a sollevare polveroni mediatici, non si fa un buon servizio alla Storia ma soprattutto non si aiuta chi questa guerra la sta vivendo in prima persona. Compresi i coraggiosi inviati che documentano senza filtri quello che quotidianamente avviene. Veniamo da mesi di grandi divisioni interne all’opinione pubblica. Qui però stiamo parlando di vita e di morte. Di pace e di guerra. Di un conflitto che ci tocca da vicino. Non è tempo di strumentalizzazioni. Anche chi fa informazione dimostri di essere responsabile.
di Gaia Bottoni
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