Gli studenti che ieri sono scesi in piazza hanno di certo molte ragioni per protestare. Ma bisogna evitare certi atteggiamenti violenti poiché si fanno passare in secondo piano le reali motivazioni di quelle stesse manifestazioni.
Dicono che «di scuola non si può morire» e hanno ragione. Così come sottolineano le carenze di un sistema scolastico che di certo ha numerosi problemi. Gli studenti che ieri sono scesi in piazza a Milano, Torino, Roma e Bologna hanno di certo molte ragioni per protestare.
Se però alcune settimane fa i riflettori si erano accesi sulla reazione delle forze dell’ordine a quelle manifestazioni, con la brutta pagina delle manganellate a ragazzi che protestavano per lo più pacificamente, questa volta non si può replicare lo stesso discorso. Perché fra quanti sono scesi in piazza c’è stato anche chi ha volutamente cercato lo scontro con quegli stessi poliziotti e carabinieri dispiegati a cordone di sicurezza. Oltre a lanciare vernice contro le sedi di banche e partiti. A Milano i ragazzi hanno replicato il modello dei cortei no Green Pass, terminando la protesta seduti in mezzo alla strada, bloccando il traffico.
Se vogliono essere ascoltati, se intendono attirare l’attenzione sui loro problemi, forse dovrebbero evitare atteggiamenti che fanno passare in secondo piano le motivazioni stesse di quelle manifestazioni. Ci siamo indignati per quella che è apparsa una reazione eccessiva ai cortei di qualche settimana fa, dovremmo farlo ora che in quegli stessi studenti era evidente la voglia di provocare le forze dell’ordine, quasi si volesse arrivare comunque a uno scontro. Peccato che questo tipo di atteggiamento non aggiunga ma anzi sottragga forza alle ragioni di un malcontento che invece può anche essere condiviso.
di Gaia Bottoni
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