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Le memorie non condivise sul 25 aprile non sono una novità. Ma c’è una cosa che possiamo fare: non stravolgere e non piegare la Storia
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Le memorie non condivise sul 25 aprile non sono una novità. Ma c’è una cosa che possiamo fare: non stravolgere e non piegare la Storia
Non siamo necessariamente i peggiori della compagnia. Negli Stati Uniti d’America una manciata di mesi or sono fu dato l’assalto al Campidoglio sventolando le bandiere confederate, simbolo della fazione uscita drammaticamente sconfitta da una bestiale guerra civile vecchia di 160 anni. La rimozione collettiva delle spaventose colpe del collaborazionismo francese durante l’occupazione nazista è durata decenni.
Le divisioni, i dolori, le memorie non condivise sul 25 aprile non devono pertanto meravigliarci. Non sono di per sé un peccato originale o la dimostrazione di chissà quale specifica incapacità italiana. Dovrebbero spronarci a studiare e capire. È soltanto così – prendendosi il tempo di leggere e ascoltare, di non rifiutare ciò che risulti istintivamente lontano da noi, di riconoscere gli umanissimi preconcetti – che si potrà inesorabilmente trasformare il nemico di ieri nell’avversario di oggi. La Storia non è neutra e non sono certo neutre le sue conseguenze, ma se c’è qualcosa che non possiamo permetterci è di stravolgerla, piegarla agli interessi del momento e di una sola parte.
Il 25 aprile 1945 chiudemmo formalmente e a posteriori – perché lutti e tragedie continuarono per un pezzo, occultati e traditi nella memoria – la più barbara e dolorosa delle guerre non dichiarate, quella civile. Era cominciata l’8 settembre 1943 con la resa incondizionata agli Alleati. Ecco, dovremmo anche abituarci a dire le cose per quello che furono: in quel giorno reso infausto dalla vergognosa fuga del re, dei vertici politici e militari e dall’abbandono al loro destino di centinaia di migliaia di nostri soldati, fu annunciato l’“armistizio” dal maresciallo Pietro Badoglio. Cinque giorni prima avevamo accettato e firmato a Cassibile la più umiliante delle rese, quella senza condizioni appunto. Lo tenemmo segreto a lungo, cercando di mistificare e annacquare la realtà della sconfitta, della tragedia e dello sfascio. Con le generazioni degli italiani del dopoguerra, del resto, lo facemmo a scuola. Così come finì per diventare naturale sorvolare su dati di fatto fondamentali: l’Italia del Regno del Sud non fu mai “alleata”, le fu concesso a fatica lo status di “cobelligerante”, mentre la Repubblica di Salò nasceva come lugubre marionetta nelle mani di Adolf Hitler. Sopra ogni altra cosa, mentre perdiamo tempo in polemiche ridicole, abbiamo finito per dimenticare che il 25 aprile festeggiamo e commemoriamo la liberazione dal nazifascismo, una tragedia globale di cui conserviamo colpe storiche rilevantissime. Non combattiamo una battaglia politica di oggi. Eravamo dalla parte sbagliata della Storia e lo fummo in modo drammatico e fragoroso, con un pezzo del nostro Paese e tanti nostri connazionali ancora schierati con il mostro nazista persino dopo quel 25 aprile, mentre il Reich agonizzava nel bunker di Berlino.
Questo non è in discussione, non può essere in discussione se si conosce la Storia. Ne sarebbe sufficiente una competenza scolastica, ecco perché abbiamo voluto ricordare i guasti causati da anni di rimozioni e ammiccamenti nell’insegnamento. C’era la Guerra fredda e si dovevano fare i conti con determinate esigenze geopolitiche. Oggi che il Muro è caduto e la sfida alla democrazia e alla libertà è stata rinnovata dalle autocrazie – soltanto un modo più moderno e gentile di definire le dittature – dobbiamo chiedere di più. Le democrazie hanno vinto la Seconda guerra mondiale (e noi abbiamo perso, perché combattemmo al fianco della più orribile fra le dittature), la Guerra fredda e ora devono vedersela con nuove minacce, per certi aspetti più subdole.
Il 25 aprile è una straordinaria occasione di riflessione sull’essenzialità della libertà e della democrazia. Con uno sguardo al passato colmo di gratitudine per chi seppe mettere in gioco la propria vita sull’altare di ideali che ci hanno garantito decenni di pace e prosperità. Camminando, però, sempre in avanti e smascherando i residui tentativi di revisionismo storico per quello che sono: patetici rigurgiti di sconfitte e colpe mai elaborate sino in fondo.
Di Fulvio Giuliani
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