L’illusione dell’autodifesa
I corsi di autodifesa negli ultimi anni sono diventati sempre più popolari, sopratutto tra le donne. Ma sorge più di un dubbio sui risultati
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I corsi di autodifesa negli ultimi anni sono diventati sempre più popolari, sopratutto tra le donne. Ma sorge più di un dubbio sui risultati
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I corsi di autodifesa negli ultimi anni sono diventati sempre più popolari, sopratutto tra le donne. Ma sorge più di un dubbio sui risultati
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I corsi di autodifesa negli ultimi anni sono diventati sempre più popolari, sopratutto tra le donne. Ma sorge più di un dubbio sui risultati
Negli ultimi anni, tolta la parentesi della pandemia, i corsi di autodifesa sono progressivamente diventati sempre più popolari, soprattutto se indirizzati a un pubblico femminile. Alcune aziende sanitarie e di trasporti, i cui dipendenti sono esposti a un rischio aumentato di atti di violenza, hanno recentemente inserito queste lezioni nella formazione del personale, con lo scopo di aumentare la percezione della sicurezza sul lavoro.
Di corsi che insegnino alle donne come difendersi da possibili aggressioni si è ricominciato a parlare in questi giorni, anche a seguito dei recenti casi di violenza. Il dibattito però si è incentrato tutto sull’opportunità o meno di dare consigli alle vittime o di concentrarsi piuttosto sull’educazione dei possibili carnefici.
Al di là del comprensibile scontro teorico, ci si chiede se un corso di difesa personale possa rappresentare una forma di protezione concreta per una donna o sia l’ennesima raccomandazione utile soltanto a scaricare la responsabilità sulla vittima. La verità è che, per imparare davvero a difendersi, non basta qualche lezione che insegni a liberarsi da una presa o a colpire sotto al mento, anche perché chi istruisce lo fa restando fermo a prendere i colpi, in una situazione protetta molto distante da quella reale.
Gli insegnanti obiettano che il focus primario dell’insegnamento è quello di evitare lo scontro, utilizzando tecniche che permettano di ‘annusare’ il pericolo e disinnescarlo prima che possa prendere forma. Individuare le vie di fuga, mantenere la calma, evitare il contatto visivo sono tutte precauzioni di buon senso ma raramente sufficienti a evitare l’aggressione.
Tenuto conto che la gran parte delle violenze avviene in ambiente domestico o cogliendo la vittima di sorpresa, sembra che la miglior difesa resti l’attacco. Ma un attacco fatto bene, considerato che una risposta violenta ma scomposta potrebbe addirittura peggiorare la situazione, comporta un’escalation in cui la forza fisica diventa l’unico fattore in gioco. Per potersi difendere non basta imparare due tecniche di street fight: bisogna avere un’adeguata preparazione atletica e soprattutto saper combattere sul serio, contro avversari veri, trasformando la paura in stamina.
Pensiamo alle eroine vendicatrici dei film e dei videogame (da Lara Croft a Chung Li, da Beatrix Kiddo a Vedova Nera): sono forti, sono cattive e menano per prime. Ma quanto tempo ci vuole a trasformare una ragazza in Lara Croft, posto che sia effettivamente possibile? Anni, nella migliore delle ipotesi.
Chi frequenta i corsi di autodifesa riferisce di aver migliorato l’autostima e l’autocontrollo, effetto collaterale che riguarda un po’ tutte le arti marziali. Ma imparare davvero a mettere Ko uno stupratore, magari armato, è tutta un’altra storia.
di Maruska Albertazzi
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