L’Italia senza (senso della) storia
Nel libro “Io e il Duce”, Indro Montanelli parla di Benito Mussolini e della storia del fascismo. Il giornalista toscano lamenta l’incapacità di fare i conti con il proprio passato
L’Italia senza (senso della) storia
Nel libro “Io e il Duce”, Indro Montanelli parla di Benito Mussolini e della storia del fascismo. Il giornalista toscano lamenta l’incapacità di fare i conti con il proprio passato
L’Italia senza (senso della) storia
Nel libro “Io e il Duce”, Indro Montanelli parla di Benito Mussolini e della storia del fascismo. Il giornalista toscano lamenta l’incapacità di fare i conti con il proprio passato
Nel libro “Io e il Duce”, Indro Montanelli parla di Benito Mussolini e della storia del fascismo. Il giornalista toscano lamenta l’incapacità di fare i conti con il proprio passato
Ho di recente letto – anzi ascoltato, perché sono ricorso all’edizione in audiolibro durante i trasferimenti in macchina – il libro “Io e il Duce” di Indro Montanelli, straordinaria raccolta di articoli, riflessioni e brevi saggi del grande giornalista toscano dedicati a Benito Mussolini e alla storia del fascismo. Furono scritti dal dopoguerra sino alla sua morte, avvenuta nel 2001.
Un viaggio interessantissimo per chiunque sia appassionato di storia o anche solo interessato a provare a capire come il fascismo abbia potuto dominare l’Italia per vent’anni e quanto la figura del dittatore abbia influenzato la nostra storia, anche dopo la fine del ventennio.
Un’ampia parte del libro è dedicata proprio alla caduta di Mussolini il 25 luglio 1943, a come sia stato possibile questo vero e proprio suicidio del regime, a cosa dicono di noi italiani quella giornata e il disastro dell’8 settembre e le modalità di questi fatti storici che – viste dall’estero – apparivano totalmente incomprensibili.
Qualità del libro a parte e dato per scontato il gusto dell’ascolto di una prosa con pochi eguali, a distanza di oltre vent’anni dalla scomparsa del grande giornalista impressiona la capacità di descrivere uomini, fatti e circostanze.
In questo quadro, resta scioccante l’attualità di un altro aspetto: negli scritti risalenti ai primi anni ‘60 – terminata la stagione in cui il Paese tentò una rimozione del fascismo attraverso il ricorso a un’autoassolutoria demonizzazione (come se gli italiani non ci fossero stati o avessero dormito per vent’anni) – Indro Montanelli lamenta l’incapacità di fare i conti con il proprio passato. Un passato che allora era vecchio ‘solo’ di vent’anni e che vedeva la generazione nata o cresciuta nel fascismo ancora pienamente attiva, non di rado chiamata a fare i conti con le sue scelte di gioventù o addirittura di infanzia.
Vent’anni sono tanti, ma anche incredibilmente pochi rispetto a una tragedia immane e incommensurabile come quella della seconda guerra mondiale, del disfacimento dell’Italia, della guerra civile, di un numero imprecisato di lutti e tragedie.
Negli anni ‘60, dunque, quando Indro Montanelli scriveva questi interventi, era in qualche misura comprensibile la difficoltà nel costruire un atteggiamento condiviso, di reciproco riconoscimento fra chi due decenni prima si era sparato addosso. Che sessant’anni dopo quegli scritti, a ottanta dai fatti ricostruiti nel libro, si sia ancora incredibilmente lì lascia senza parole.
Ci rendiamo conto quanto ogni giorno – ancora oggi – la parola “fascismo“ venga citata in articoli, editoriali, commenti e così via? Non per esigenze di ricostruzione storica, ma di pura e assoluta attualità, per bollare o costruirsi delle identità. Come è mai possibile?
Con Montanelli si sorride molto, anche delle nostre miserie, ma certo si resta sconcertati dall’inutilità del passare del tempo in questo nostro magnifico e strano Paese.
di Fulvio Giuliani
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