Skip to main content
Scarica e leggi gratis su app

L’ondata di dimissioni, tra illusioni e realtà

|
Sull’ondata di dimissioni nel mondo del lavoro, conosciuta come work life balance, vi è un’errata interpretazione dei dati che non aiuta a comprendere realmente il fenomeno.

L’ondata di dimissioni, tra illusioni e realtà

Sull’ondata di dimissioni nel mondo del lavoro, conosciuta come work life balance, vi è un’errata interpretazione dei dati che non aiuta a comprendere realmente il fenomeno.
|

L’ondata di dimissioni, tra illusioni e realtà

Sull’ondata di dimissioni nel mondo del lavoro, conosciuta come work life balance, vi è un’errata interpretazione dei dati che non aiuta a comprendere realmente il fenomeno.
|
Il tema delle dimissioni (Great Resignation negli Stati Uniti, dove se non danno un nome a ogni singolo fenomeno non si divertono) è ormai un argomento di moda. Un trend.  Partendo da dati inconfutabili – il crescere del numero di persone che lasciano volontariamente il posto di lavoro – si finisce per approdare a una sorta di pensiero unico. Quello secondo il quale l’ondata di dimissioni, in special modo fra i lavoratori più giovani, sarebbe determinata pressoché esclusivamente dal desiderio di una migliore gestione dei tempi della propria vita. Ricorrendo a unespressione anglosassone ormai divenuta duso comune anche da noi, per la cura del work life balance. Quest’ultimo, giusto equilibrio fra il tempo che dedichiamo alle nostre attività lavorative e quello che riserviamo agli interessi personali o familiari, ha un indiscutibile valore in termini assoluti. La stessa esperienza collettiva della pandemia ha proiettato milioni di lavoratori verso forme di occupazione miste, in presenza o da remoto, o comunque molto più flessibili rispetto a un tempo. Da qui, però, a concludere che il mondo del lavoro sia cambiato al punto che le persone vi rinuncino indifferenti alle conseguenze (anche economiche) ce ne corre. A meno che non si voglia raccontare, per pigrizia o assuefazione alle mode, una realtà di fantasia in cui al lavoro non si possa più neanche osare accostare i concetti di gavetta, apprendistato, sacrificio, libertà di sbagliare e cambiare obiettivi.  Quando affronta il tema, buona parte della stampa italiana si accontenta del dato assoluto, senza prendersi il disturbo di andare a osservare più nel dettaglio cosa dicano i numeri. Per esempio, la gran parte di chi si dimette comincia un nuovo lavoro entro sette giorni. A meno di non voler restare assolutamente digiuni dei tempi e delle tecniche di recruiting, stiamo parlando della sacrosanta ricerca di una posizione più soddisfacente per il lavoratore. Nessuna fuga, dunque, verso lidi tropicali o dimensioni neo hippy della vita: molto più prosaicamente, se si vuole, un cambio per star meglio e sentirsi più realizzati.  Rispetto ai tempi dei nostri genitori ma anche prima dell’avvento del digitale, un aspetto radicalmente cambiato è il peso della leva economica. Come abbiamo avuto modo di sottolineare spesso, se una volta alle aziende era più che sufficiente giocare la carta di stipendi più alti e benefit classici per accaparrarsi i migliori talenti in circolazione, oggi questo schema è totalmente superato. I lavoratori, a cominciare da quelli più giovani e consci del valore delle loro skill, sfruttano le competenze come veri e propri jolly per ottenere ciò che desiderano. A cominciare dalla flessibilità degli orari, dalla sede di lavoro e dalla valutazione delle performance.  Alzi la mano chi possa riscontrarvi aspetti negativi, semmai il grande problema è che questa è la condizione dei privilegiati”, dei professionisti (ma anche dei tecnici specializzati, degli interpreti delle nuove professioni digitali, etc.) più preparati e formati. Questi ultimi vengono inseguiti da un mercato affamato di talenti, nella consapevolezza di non riuscire a coprire tutte le posizioni aperte. Gli altri – chi si è accontentato troppo a lungo, ha rinunciato alla formazione continua e a sperimentare nuove mansioni – non sono attesi da nessuna felice moda delle dimissioni. Nei loro confronti il mercato del lavoro risulta rigido come sempre e assomiglia drammaticamente alle glaciali scelte di una volta: «Questa è la minestra, mangiala o…».  Parlare di lavoro non è mai facile, soprattutto se non si vuole lisciare il pelo e raccontare la realtà del mondo dell’impresa e delle libere professioni. In fin dei conti non deve meravigliare che, in unera improntata a una competizione serrata sul piano della qualità, siano i lavoratori più formati e talentuosi a “dettar legge” al mercato e talvolta alle aziende. Il problema è non prendere in giro tutti gli altri.   Di Fulvio Giuliani

La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!

Leggi anche

A novant’anni dalla sua scomparsa, il cuore di Hachikō batte ancora a Shibuya – IL VIDEO

08 Aprile 2025
L’8 marzo 1935, un cane bianco di razza Akita esalava il suo ultimo respiro. Il suo nome era Hac…

La meglio gioventù: Mattarella nomina 29 “Alfieri della Repubblica”

05 Aprile 2025
Sono 29 i nuovi “Alfieri della Repubblica” nominati oggi dal Presidente Mattarella al Quirinale….

Post-it, quarantacinque anni fa l’invenzione nata da un errore

05 Aprile 2025
Alzi la mano chi non ha mai scritto qualcosa su un post-it. La loro origine è ben diversa da que…

Una società rancorosa rende tutto difficile

05 Aprile 2025
Il livore non è solo sui social, ma anche nella realtà. Come può una società rancorosa come la n…

Iscriviti alla newsletter de
La Ragione

Il meglio della settimana, scelto dalla redazione: articoli, video e podcast per rimanere sempre informato.

    LEGGI GRATIS La Ragione

    GUARDA i nostri video

    ASCOLTA i nostri podcast

    REGISTRATI / ACCEDI