Mo’ vene Natale
Mo’ vene Natale
Mo’ vene Natale
Anche quest’anno arriva Natale. Lo si capisce dallo scintillio di luci, festoni e pubblicità. Non mancano la frenesia di regali e menù così come la tradizione pagana dell’albero, che si spera migliore dell’anno passato e più ricco del suo simile nella casa accanto. Ricevere inviti ingrassa il curriculum, mentre quelli da effettuare giacciono ancora in pausa di riflessione. Natale apre l’animo alla generosità. È il periodo dell’anno in cui proliferano gli eventi ludici che indossano i paramenti sacri umanitari: giochi e balletti di beneficenza e i cori gospel dei neri stinti. Trascorso il momento clou, cala il sipario sulle miserie dei poveracci.
Nell’era degli aperitivi spritz e delle bollicine, la serie dei brindisi fa cumuli di vuoti a perdere, nel mentre i liquidi scorrono a fiumi e… panta rei. C’è chi, travolto dalle rapide del prosecchino, assegna una gradazione alcolica alla spiritualità, smarrendo il senso e il sentimento. Seguono le cene speciali aziendali tra i colleghi dai lunghi coltelli. La cerimonia degli auguri nella stanza del capo prevede il sermone di pace e produttività e mai mancano il taglio del panettone e i sorrisi dei presenti in overdose di opportunismo.
Nel giorno comandato c’è chi va in chiesa – perché «così fan tutti» – e a Capodanno abbraccia il rito buddhista che non contempla la redenzione e il senso di colpa: «all’incenso, preferisco l’oro e la birra!». A Natale si sfornano i cinepanettoni, che proiettano sul grande schermo una folata di vacua allegria; mentre la tv s’impegna con Babbo Natale stretto alle renne e ai pupazzi di neve, anche tra i venti di carestia e in quel tepore innaturale che fa sciogliere i ghiacci. La luce del Natale risplende negli occhi vergini dei bambini, ed è tutta qui. Per gli adulti – appesantiti dai ricordi, dalle ingiustizie sociali e personali, per tacer dell’ansia da prestazione – rimane una festa difficile.
A conti fatti, come definire il Natale? La resurrezione del consumismo. E su questo colpo di vita arrivano le note di “Last Christmas” (la canzone di George Michael, andato anche lui) e la mesta ironia di un’antica cantilena vesuviana ripresa a suo tempo da Renato Carosone: «Mo’ vene Natale, nun tengo denaro, me leggo ‘o giurnale e me vado ‘a cuccà». Auguri!
di Elvira Morena
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