Non sventola la bandiera bianca
Richiamare il negoziato a tutti costi, rivolgendosi a un popolo che da due anni combatte letteralmente per la propria vita, non è un atto di fede. A colpire di più, però, sono le parole non dette
Non sventola la bandiera bianca
Richiamare il negoziato a tutti costi, rivolgendosi a un popolo che da due anni combatte letteralmente per la propria vita, non è un atto di fede. A colpire di più, però, sono le parole non dette
Non sventola la bandiera bianca
Richiamare il negoziato a tutti costi, rivolgendosi a un popolo che da due anni combatte letteralmente per la propria vita, non è un atto di fede. A colpire di più, però, sono le parole non dette
Richiamare il negoziato a tutti costi, rivolgendosi a un popolo che da due anni combatte letteralmente per la propria vita, non è un atto di fede. A colpire di più, però, sono le parole non dette
Dalle parole del papa e dall’intera bufera legata all’uso del concetto di “bandiera bianca” quello che colpisce – noi, beninteso – sono le parole che mancano, più di quelle che ci sono. Francesco è il papa, determinati concetti li diamo per scontati, ce li attendiamo, non stiamo qui a contestare e tutto sommato neppure commentare la sua visione dei conflitti internazionali, della guerra, della pace, del tema carissimo al pontefice dei «mercanti d’arme». Su questi piani, in tutta franchezza, il fedele ascolta in un quadro che non ha senso rendere politico in senso stretto. Chi non crede ne saprà cogliere il valore etico, i richiami a princìpi universali che non sono proprietà esclusiva di alcuna religione, filosofia o morale. Se però si ragiona sul concetto di resa, non bastano tutte le precisazioni della segreteria di Stato vaticana (giunte, peraltro, con tempismo quantomeno sospetto se volessimo credere all’assoluta irrilevanza politica delle parole papali…) e il discorso cambia radicalmente.
È politico e va valutato come tale. Richiamare il negoziato a tutti costi, anche solo adombrare il concetto di bandiera bianca rivolgendosi a un popolo che da due anni combatte letteralmente per la propria vita ed è vittima di un agguato vigliacco e fuori da ogni legge, non è un atto di fede. È una proposta politica, lo ripetiamo. In quanto politica, è proprio la sua valenza a evidenziare quelle clamorose mancanze cui si faceva cenno. Bocciata dallo stesso Vaticano e ne siamo lieti. Perché nell’accompagnare il ragionamento sul negoziato a ogni costo e l’accettabilità dell’issare bandiera bianca – pur di arrestare o limitare lutti e distruzioni – non una parola è stata rivolta a chi tutto questo l’ha voluto, scatenato e continua a condurlo nell’assoluta indifferenza per la scia di tragedie che ha generato. Come non affiancare, agli appelli al popolo e al governo aggredito, un altrettanto netto e inequivocabile monito a posare le armi a colui che le ha usate per primo? Diretto e
circostanziato, non implicito. Sono mancanze che pesano, addolorano, per certi aspetti lasciano sbigottiti. Perché non può bastare il sottinteso alle numerose, precedenti condanne dell’aggressione russa da parte di papa Francesco. È in quel contesto, in quel ragionamento, fra quelle parole che il pontefice avrebbe dovuto aggiungere moniti, richiami e appelli a Putin. Non averlo fatto viene letto da legioni di putiniani di varia natura come equidistanza, ma non ci può essere equidistanza fra aggressore e aggredito. Il papa non l’avrà neppure pensato, ma quell’intervento era affetto da troppe mancanze per non prestarsi alle peggiori letture interessate.
Approfittiamone, allora, per ribadire che una pace a ogni costo – che poi sarebbe la vittoria dello zar – risulterebbe tanto per cominciare la negazione dei più sacri princìpi della democrazia, della libertà dell’individuo, dello Stato di diritto e del diritto internazionale. Troppe vittime per quella che non sarebbe una pace ma soltanto una tregua prima della prossima aggressione. La storia insegna: soddisfa la fame della bestia e questa avrà sempre più appetito. La reazione sdegnata dell’Ucraina era in qualche misura inevitabile e scontata; quella che – a nostro avviso – fa più rumore è la presa di posizione della Polonia. In Europa non c’è Paese più cattolico (con l’Irlanda) della Polonia quanto a influenza della Chiesa nelle scelte di politica interna, nella morale corrente e nella vita quotidiana. Se il governo di Varsavia ha reagito come ha reagito alle parole di Francesco è perché da quelle parti si ha imperitura memoria degli appetiti dell’orso russo e gli appelli generici a una pace basata esclusivamente sui rapporti di forza terrorizzano fino alle ossa. Forse converrebbe provare un po’ di paura anche da queste parti, invece che essere attratti da una filosofia a basso costo sospesa fra insindacabilità papale e voglia di tirarlo per la veste bianca.
Di Fulvio Giuliani
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