Un Paese in denatalità si occupa poco e niente del futuro. Peccato che l’allucinazione del presentismo finisca con il bendare rispetto all’evidenza: il futuro deperisce e quel che si considera ‘diritto acquisito’ diventa pretesa inesigibile. Non ve ne è la minima consapevolezza, anche per colpa di un’informazione che minimizza e di forze politiche che negano del tutto, pur di non dovere fare i conti con la realtà. Mi sono anche stufato di sentirmi dire che ce l’ho con i pensionati o che sarei contro le pensioni. Mi sono stufato di sentir ripetere che in pensione non si può andare che pochi anni prima di morire. Perché è vero l’opposto: il sistema pensionistico va difeso dall’incoscienza e alle pensioni povere e ritardate stiamo arrivando per inerzia, per viltà. Sicché sì, ci sono le enormi colpe della politica, ma chi ci crede o finge di crederci per pretesa convenienza è interamente corresponsabile.
Il rapporto Ocse sui sistemi pensionistici (Pension at a glance 2021) mette in fila i numeri, che raccontano una portentosa ingiustizia sociale: abbiamo i pensionati più giovani e spendiamo più degli altri Paesi europei per finanziare le pensioni, superandoci solo la Grecia, che non a caso è stata ripetutamente in bancarotta; ma per far finta che il sistema stia in equilibrio fissiamo regole per cui chi inizia a lavorare oggi non potrà ritirarsi prima dei 71 anni d’età (oggi la media di chi va in pensione è 62 anni) e ci andrà prendendo pensioni più basse. Oggi spendiamo il 15,4% del prodotto interno lordo per finanziare il sistema che, all’evidenza, non si regge sui contributi versati; nel 2035 arriveremo al 17,9%, poi i più giovani si arrangino. Avendo, nel frattempo, finanziato le pensioni degli altri. Difficile immaginare qualche cosa di più ingiusto. Continuiamo a far leggi che prevedono l’età pensionabile, ma in un sistema che sarà interamente al contributivo si tratta di una previsione che non ha nulla a che vedere con l’equilibrio dei conti. Visto che si andrà in pensione solo sulla base del versato dovrebbe essere del tutto libera la decisione relativa a quando andarci. Almeno questo. Invece no, ma per un motivo del tutto diverso: oggi abbiamo 39,5 abitanti su 100 con più di 65 anni, nel 2050 saranno 74. Quindi non solo oggi abbiamo i pensionati più giovani, ma domani avremo la popolazione più vecchia. Posto che gli italiani diminuiscono ogni anno, perché il numero dei nati è inferiore al numero dei morti, quei limiti all’età pensionabile servono solo a conservare forza lavoro. Da qui al 2060 la popolazione in età lavorativa diminuirà del 31%, contro una media Ocse di meno 10%.
E questo è il secondo lato dell’ingiustizia sociale: chi oggi è giovane andrà in pensione dopo e prendendo meno soldi perché mancherà forza lavoro. A meno d’imbarcare immigrati a centinaia di migliaia. Questa bomba sociale a orologeria ce la teniamo sotto le chiappe, facendo il possibile perché nessuno senta il ticchettio. Ieri parlavamo di ‘sciopero fiscale’ e oggi Lavaggi, a pagina quattro, ci fa osservare che quella rivolta è impossibile se chi paga per tutti è una minoranza. Vero, ma se ai pagatori di oggi si sommasse la consapevolezza dei fregati di domani non crescerebbe solo il numero di quanti dovrebbero rivoltarsi, dovrebbe crescere anche quello di chi avverte l’inaccettabile ingiustizia che coviamo. Se ne fosse diffusa la consapevolezza sarebbero spazzate via le forze che ingrassano ingannando e promettendo quel che non manterranno, che non potranno mantenere. Se questo non capita non è perché il sistema pensionistico è un problema complesso, di cui si devono conoscere le tecnicalità, ma perché dalla nostra discussione pubblica abbiamo cancellato il futuro. E quando la politica non è più capace di discutere del futuro finisce con l’essere solo un detrito del passato, che sarà traumaticamente smaltito. Ragione più che buona per non tacere questi problemi e tenerli vivi davanti agli occhi di tutti.
di Davide Giacalone
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