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Pace in tempi di guerra

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I pacifisti manifesteranno sabato 5 novembre a Roma, chiedendo all’ONU un vasto programma, ma quanto c’è di concreto?

Pace in tempi di guerra

I pacifisti manifesteranno sabato 5 novembre a Roma, chiedendo all’ONU un vasto programma, ma quanto c’è di concreto?
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Pace in tempi di guerra

I pacifisti manifesteranno sabato 5 novembre a Roma, chiedendo all’ONU un vasto programma, ma quanto c’è di concreto?
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Mancano due giorni alla manifestazione per la pace di sabato, a Roma. Che la pace sia un valore non v’è dubbio. Trovarla in un conflitto di guerra, come quello in Ucraina scatenato dall’invasione russa, è però cosa che attiene alla politica, alla realtà e non soltanto alla morale. I pacifisti che manifesteranno il 5 novembre indicano un loro percorso per raggiungere una tregua. Prima di analizzarlo, vediamolo. Secondo loro l’Italia, l’Unione europea (e i suoi Stati membri) e le Nazioni Unite devono assumersi la responsabilità del negoziato per fermare l’escalation e raggiungere l’immediato cessate il fuoco. Chiedono in sostanza al segretario generale delle Nazioni Unite «di convocare urgentemente una Conferenza internazionale per la pace, per ristabilire il rispetto del diritto internazionale, per garantire la sicurezza reciproca e impegnare tutti gli Stati a eliminare le armi nucleari, ridurre la spesa militare in favore di investimenti per combattere le povertà e di finanziamenti per l’economia disarmata, per la transizione ecologica, per il lavoro dignitoso». Un vasto programma, non c’è che dire. Ma quanto concreto? Per ciò che concerne una conferenza internazionale per la pace, la storia dell’umanità ci insegna che arriva solitamente dopo la vittoria di uno dei due contendenti nel conflitto mentre la guerra in Ucraina sta andando per le lunghe. Oppure una conferenza può arrivare dopo un lavoro diplomatico che stabilisca una base minima su cui poter far trattare i Paesi in guerra. In questo caso, con la continua minaccia russa di uso del nucleare tattico, purtroppo una base minima su cui cominciare a cercare una tregua non si vede. Quanto alle spese militari, in un mondo ideale andrebbero ridotte o addirittura azzerate ma in quello reale trattasi di strumenti indispensabili per la difesa delle democrazie e delle libertà, se aggredite. Del resto, con lo sdoganamento dell’impiego del nucleare (è di ieri l’allarme degli 007 americani sui capi militari russi che han discusso dell’uso eventuale di armi nucleari in Ucraina) il mondo rischia un effetto di incanaglimento assai pericoloso. Basta dare un’occhiata alla Corea del Nord e ai suoi lanci di missili verso il Mar del Giappone e vicinissimi alla Corea del Sud, con il dittatore Kim Jong-un che straparla di un uso possibile del nucleare se il suo Paese si sentisse minacciato. In questo quadro globale non c’è dubbio che le parole di papa Francesco – ispiratrici della manifestazione pacifista di sabato – sul far tacere le armi e sul cercare condizioni per avviare negoziati siano preziose. Moralmente lo sono. Quanto alla realtà della guerra, purtroppo le parole di Bergoglio non bastano ad arrivare a una tregua. A quella devono lavorare gli Stati e le diplomazie. E per quella serve che gli ucraini, Paese aggredito, possano dire la loro. Di Massimiliano Lenzi

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