Il pessimismo cronico di cui siamo tutti responsabili
In Italia la percentuale di persone pessimiste è la più alta d’Europa. A forza di non raccontarci verità scomode e di dare per scontate le enormi opportunità del nostro mondo, stiamo rovinando il futuro dei giovani.
| Società
Il pessimismo cronico di cui siamo tutti responsabili
In Italia la percentuale di persone pessimiste è la più alta d’Europa. A forza di non raccontarci verità scomode e di dare per scontate le enormi opportunità del nostro mondo, stiamo rovinando il futuro dei giovani.
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Il pessimismo cronico di cui siamo tutti responsabili
In Italia la percentuale di persone pessimiste è la più alta d’Europa. A forza di non raccontarci verità scomode e di dare per scontate le enormi opportunità del nostro mondo, stiamo rovinando il futuro dei giovani.
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In Italia la percentuale di persone pessimiste è la più alta d’Europa. A forza di non raccontarci verità scomode e di dare per scontate le enormi opportunità del nostro mondo, stiamo rovinando il futuro dei giovani.
I nostri anni sono curiosi: viviamo tempi senza dubbio complessi e carichi di incognite, ma è razionalmente innegabile quanto la generazione di chi scrive e quelle che ci hanno seguito siano fortunate. In termini economici, di stile di vita e opportunità.
Anche se non va di moda dirlo, in un’era dominata da una sfinente retorica della decadenza, i nostri figli considerano un dato acquisito (è un problema, ma ci arriveremo) sentirsi di casa in un intero continente, nella più vasta e ricca area economica del mondo.
Trovano normale e irrinunciabile parlare due o tre lingue, grazie a una formazione che pur con tutti i suoi difetti ha consentito loro di sentirsi cittadini europei, se non del mondo. Parliamo di lavoro, ma anche – perché no – della sfera personale e sentimentale. Viaggiano, fanno esperienze, vengono in contatto con culture, usi e costumi che un tempo erano riservati a una ristrettissima élite.
Eppure, questi stessi nostri figli e il mondo dei loro genitori rispondono con accenti molto pessimisti alle domande sul proprio futuro e quello del Paese. Lo fanno con percentuali senza uguali in Europa. La generazione che ha magnificamente cavalcato le opportunità dei tempi digitali e ha potuto sfruttare il lavoro e i sacrifici di chi l’ha preceduta si rifugia in un sentimento cupo e paradossalmente autocompiaciuto.
Un pessimismo cosmico buono a giustificare qualsiasi stop e fallimento personale. Tutti abbiamo contribuito a questo risultato, più giovani e meno giovani. I genitori e i nonni eccedendo in un protezionismo a lungo andare pericoloso e controproducente. I figli adagiandosi e definendosi giovani anche a cinquant’anni. Come se ormai esistessero solo le categorie dei ragazzi e degli agé, gli adulti non vanno più di moda.
Abbiamo edificato una società a misura di “anziani” ipertutelati a scapito dei più giovani, salvo lamentarci ipocritamente che i ragazzi non abbiano alcuna possibilità di ripercorrere le strade tracciate per mamma e papà. Quel pessimismo dei sondaggi non è che uno dei frutti del paradosso di successo del nostro dibattito pubblico: rifiutiamo di dire le verità scomode – a cominciare dall’obbligo di formarsi e faticare, cercare maestri e accettare la gavetta – ma al contempo accusiamo genericamente i giovani di non aver voglia di lavorare.
Non li prepariamo, non li spingiamo a rischiare, ci siamo lasciati andare a una imbarazzante elegia del sussidio e del bonus e ci meravigliamo pure se la cultura del lavoro non è più di gran successo. Ci vuole oggettivamente del coraggio.
Il pessimismo e il disincanto sono fra le matrici dei peggiori mali della nostra epoca, a cominciare dal confuso disimpegno che mette a rischio diritti e conquiste – come accennavamo – erroneamente considerati acquisiti. Brexit sembrava impossibile, al punto che una marea di giovani elettori britannici non pensò neppure di dover votare. Si indignarono il giorno dopo, ma quando dovevano decidere del proprio futuro erano all’happy hour.
C’è voluta una sentenza della Corte suprema statunitense per ricordare alle masse, non solo alla sparuta frangia di attivisti, che un tema lacerante come quello dell’aborto non può essere lasciato in balia di correnti politiche passeggere.
L’inebriante senso di libertà e opportunità delle nostre società, la lotta per i diritti che ci impongono come un faro nel mondo non sono vanti da tirar fuori all’occorrenza, sono una fatica quotidiana. Se l’accetteremo come singoli e comunità avremo forse anche meno tempo per essere nostalgici e pessimisti.
Di Fulvio Giuliani
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