Direte voi: perché perder tempo a scrivere di Pupo, trascurabile protagonista della musica leggera italiana, trasformatosi da tempo in personaggio da talk leggero televisivo, rotocalco d’avventura social e impenitente paladino della Russia di Vladimir Putin? Perché alcune derive psicologiche meritano di essere affrontate, non limitandosi a immaginare i tanti denari offerti alla “star“ straniera da un regime divenuto paria per l’intero Occidente.
Pupo, accettando di prendere parte come ospite d’onore e membro della giuria a quello che viene impropriamente definito il “Sanremo di Russia”, va oltre la spericolata prestazione professionale. Perché “Road to Yalta” (Pupo è previsto nella serata finale del 2 maggio) con Sanremo non c’entra proprio nulla, essendo il Festival della canzone patriottica del Cremlino e che fra i suoi propositi dichiarati – leggendo direttamente dal sito della manifestazione – troviamo quello di “rafforzare la vera immagine del soldato-liberatore sovietico”.
Il soldato, oggi, non è più sovietico, ma russo-imperialista, impegnato a “liberare“ dagli inesistenti “nazisti” ucraini i territori di uno Stato sovrano, invaso in barba a qualsiasi legge internazionale e senso d’umanità in pieno III millennio.
Tutto ciò a Pupo deve apparire irrilevante, convinto che “un gelato al cioccolato, dolce e un po’ salato” possa essere propinato a chiunque e ovunque senza colpo ferire. Ovviamente non è così ed Enzo Ghinazzi lo sa perfettamente, da persona estremamente scaltra, oltre che all’evidenza priva di grandi scrupoli.
Pare che a Mosca Pupo esordirà cantando “Bella Ciao”, ma per lui è una canzone come un’altra. Nessun riferimento politico o messaggio trasversale, avrebbe potuto cominciare anche con “Ci son due coccodrilli“ e nulla sarebbe cambiato: il messaggio è la presenza.
di Fulvio Giuliani
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