Sempre meno voglia di avere notizie
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Il “Rapporto sulle Digital News” del Reuters Institute mostra una diffidenza preoccupante verso le fonti di informazione. Ben il 38% dei cittadini dei cinque continenti evitano le notizie, dimenticando che la negazione del valore del giornalismo svuota populisticamente le democrazie.

Sempre meno voglia di avere notizie
Il “Rapporto sulle Digital News” del Reuters Institute mostra una diffidenza preoccupante verso le fonti di informazione. Ben il 38% dei cittadini dei cinque continenti evitano le notizie, dimenticando che la negazione del valore del giornalismo svuota populisticamente le democrazie.
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Sempre meno voglia di avere notizie
Il “Rapporto sulle Digital News” del Reuters Institute mostra una diffidenza preoccupante verso le fonti di informazione. Ben il 38% dei cittadini dei cinque continenti evitano le notizie, dimenticando che la negazione del valore del giornalismo svuota populisticamente le democrazie.
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Prendiamo 48 Paesi che rappresentano metà della popolazione del globo e che godono tutti o quasi di un’ampia democrazia, in molti casi consolidata e perfino granitica. Sono quelli analizzati dall’ultimo “Rapporto sulle Digital News” del Reuters Institute, un’analisi che ogni editore del mondo benestante-istruito-privilegiato non può fare a meno, ogni anno, di imparare a memoria.
L’approccio è economicistico, non a caso i 26 Paesi europei, 8 delle Americhe, 11 asiatici e 3 africani vengono chiamati concretamente «mercati». Si affianca anche una dichiarata consapevolezza del valore inalienabile degli “operatori” dell’informazione, i giornalisti, che fronteggiano torsioni epocali del pianeta – cambiamento climatico, Coronavirus, invasione russa dell’Ucraina (l’argomento più seguito su tutti i media) – insieme al consumo, sempre più online e dunque digitale, di notizie e di pubblicità. Ma c’è uno squassante allarme.
Il «giornalismo professionale indipendente che può aiutare le persone a capire il mondo al di là dell’esperienza personale» (definizione scolpita nella roccia) subisce un montante «evitamento attivo» delle news da parte dei lettori/fruitori/consumatori di tutti i media, in tutti i Paesi studiati dal rapporto.
Il 38% dei cittadini dei cinque continenti evitano attivamente le notizie, cioè saltano a piè pari le informazioni fornite dai media (picco in Brasile col 54%; in Italia il 34%). Il 43% (in media) dice che sono troppo piene di politica e di Covid. L’87% degli italiani afferma che l’informazione è sotto l’influenza indebita della politica. Anche le celebrità e gli influencer calano in credibilità. Perfino l’imparzialissima per antonomasia “Bbc” negli ultimi 5 anni perde la fiducia di ben un terzo dei suoi estimatori.
In Italia chi si aggiudica più fiducia è l’“Ansa” (quasi tre quarti degli italiani). L’analisi si avventura, poi, sul terreno scivoloso della correlazione fra le ragioni del rifiuto delle notizie e la collocazione politica dei rifiutatori: per esempio «le notizie sono inaffidabili o di parte» è la convinzione dichiarata dei due terzi di chi è di destra, mentre 57 persone di sinistra su 100 dicono che le notizie «hanno un effetto troppo negativo sull’umore».
Grande dichiarato protagonista del rapporto è l’informazione online che, però, non è abbastanza attrattiva da spingere i consumatori di notizie a pagare per fruirne. Solo un italiano su dieci è disposto a farlo. Fa eccezione su tutti la Norvegia che beneficia di un 41% di paganti. In tutti i Paesi riescono a incassare dai propri lettori solo le grandi testate nazionali, comunque distantissime dai fatturati di televisione («più facile da consumare», «più coinvolgente», «ci si imbatte di più»), musica e canali digitali di sport.
Nella gara di quale medium si accaparra per primo l’attenzione mattutina dei consumatori di news c’è lo smartphone per quasi tutti i Paesi europei – sola forte eccezione, la tv in Giappone. I podcast si confermano un consumo in costante ascesa in ogni Paese.
Nel rapporto il dato della polarizzazione sembra essere dominante, pervasivo ed estremo. La negazione del valore del giornalismo svuota populisticamente le democrazie. Il clima mette a fuoco i continenti. La bolla contro i diritti si trasferisce dalle milizie violente dei social network al pantheon della teocratica Corte suprema. Il dittatore criminale russo rade al suolo un Paese straniero al grido di «Fermiamo un genocidio!». I profughi della Terra sono più di 100 milioni. E la voglia di negare tutto questo monta incoscientemente, ma inesorabilmente.
Di Edoardo Fleischner
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