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Ribellismo e tare antiche nella babele delle piazze

Il mescolarsi della noncuranza per l’interesse nazionale e di quel che rimane delle aspirazioni ideologiche novecentesche. Residui di zavorre non cancellate.
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Ribellismo e tare antiche nella babele delle piazze

Il mescolarsi della noncuranza per l’interesse nazionale e di quel che rimane delle aspirazioni ideologiche novecentesche. Residui di zavorre non cancellate.
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Ribellismo e tare antiche nella babele delle piazze

Il mescolarsi della noncuranza per l’interesse nazionale e di quel che rimane delle aspirazioni ideologiche novecentesche. Residui di zavorre non cancellate.
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Il mescolarsi della noncuranza per l’interesse nazionale e di quel che rimane delle aspirazioni ideologiche novecentesche. Residui di zavorre non cancellate.
È certamente possibile – e sfortunatamente anche probabile – che in tv, sui giornali e sui social il commento dei risultati finisca per rendere poco visibile il vero vincitore della recente tornata elettorale: l’eccezionale astensionismo. Lo stesso potrà accadere per il tentativo (riuscito) di un gruppuscolo criminal-fascista di coinvolgere nella sua azione violenta un numero di persone incomparabilmente superiore alla stessa area di ascolto che abbia mai potuto sperare di raggiungere. Si rischia così che nessuno si ponga più l’intrigante domanda se non ci sia un legame tra i due fenomeni: da un lato, l’evidente e crescente disaffezione degli italiani nei confronti del personale eletto e dall’altro le violenze che si sono avute lunedì al porto di Trieste e, soprattutto, a Roma. Cioè il legame tra la debolezza delle istituzioni e la scelta da parte della destra più ignobile di osare una manifestazione di forza che in una situazione di minore fragilità le forze di governo non avrebbero avuto nessuna esitazione non a gestire, ma a escludere con la dovuta durezza. A segnalare il pericolo di una sfiducia degli italiani nei confronti dei partiti sono oggi diversi commentatori, le cui interpretazioni appaiono però molto spesso ‘qualunquistiche’. Gli stessi hanno anche la responsabilità di aver affibbiato – e di continuare ad affibbiare – etichette assai approssimative sui fenomeni di malcontento diffuso che alla fine sono confluiti nella penosa confusione delle lingue che prodottasi in piazza del Popolo. Definire genericamente ‘no-vax’ quella folla così come quella che in un momento successivo si impadronirà del porto di Trieste, equivale quasi a nobilitarle, a conferire loro una dignità che non meritano. Le stesse persone che di tali folle hanno fatto parte – se interrogate non per fare spettacolo, ma con l’obiettivo di capire – si definirebbero probabilmente ostili soprattutto al Green Pass. Animate insomma da un’ostilità che non ha uno straccio delle pur poco plausibili motivazioni del rifiuto del vaccino, legato a luoghi comuni relativi alla medicina e alla salute. Al contrario, il loro rifiuto del Green Pass nasce da un vizio antico – la scarsa fiducia nelle istituzioni, se non addirittura il sospetto sulle loro intenzioni – cioè da residui psicologici e culturali di secoli di sonnolento e immobilista governo straniero negli Staterelli in cui la Penisola era frammentata. Questa sfiducia e questo sospetto rischiano nel medio periodo di ritorcersi contro la strategia di un presidente del Consiglio che si presenta invece – o almeno tenta di farlo – come portatore di una volontà di insolita efficacia nella gestione degli affari interni e di un rapporto di tipo nuovo con gli altri Stati europei. E che, con l’imposizione del Green Pass ha affrontato la pandemia con un approccio che il “New York Times” ha definito «audace». Il passato, però, non spiega del tutto la ‘disaffezione’ degli italiani per i loro politici e forse perfino per le loro istituzioni. Perché nel provocarla, al residuo psicologico dell’Italia pre-risorgimentale si unisce un sentimento di origine tardo-novecentesca, una tentazione alla non-collaborazione sociale, un atteggiamento di ostentata noncuranza per l’interesse nazionale. Un’ostilità che sarebbe veramente triste dover considerare parte significativa di ciò che resta delle grandi e nobili aspirazioni del pensiero socialista e della lotta delle classi meno fortunate per migliorare, grazie allo Stato sociale, il proprio destino. È un problema che il nostro Paese non potrà evitare di affrontare nel futuro più prossimo. di Giuseppe Sacco

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