Roma, quartiere Eur, diversi giorni fa. Un bambino di prima media chiede alla sua insegnante se parteciperà allo sciopero e ottiene una risposta lapidaria: «Questi non sono affari tuoi». Peccato, sarebbe stata un’occasione preziosa per spiegare ai bambini cosa sia uno sciopero e come mai quel giorno non avranno diritto alla lezione.
Ma i sindacati e i loro iscritti sono custodi gelosi delle loro prerogative, compresa l’incomunicabilità. Indossano le vesti e praticano i rituali della setta esoterica che non intende far trapelare il contenuto reale delle proprie rivendicazioni. Provate a chiedere loro il significato dello sciopero generale indetto per oggi da Cgil e Uil: al netto di qualche generica parola d’ordine, non sapranno che dirvi. Soprattutto non ammetteranno che la manovra che contestano ha accolto una buona parte delle loro richieste (e infatti la Cisl si è sfilata).
Fa niente se pochi si accorgeranno della protesta. In fortissima crisi, queste associazioni (in larga parte) di pensionati vogliono rivendicare a vuoto un ruolo politico di opposizione. Quanto ai giovani e alle nuove categorie di lavoratori, da un pezzo hanno smesso di iscriversi. Semplicemente, non se li filano proprio.
Ieri la Cgil ha comprato una pagina di giornale per chiedere ai parlamentari un intervento a favore della riduzione degli anni di contribuzione per accedere alla pensione con l’Ape sociale. Espediente debole, data l’inconsistenza degli interlocutori. La pagina l’avranno però letta diversi anziani. Obiettivo raggiunto.
di Vittorio Pezzuto
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