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Smart Working, paradiso del lavoratore e incubo dell’azienda?

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Smart Working, paradiso del lavoratore e incubo dell’azienda? Il problema non è aver paura di affrontare un tema esplosivo, ma avere il coraggio di sottolineare un rischio fatale: perdere la guerra dei talenti

Smart Working

Smart Working, paradiso del lavoratore e incubo dell’azienda?

Smart Working, paradiso del lavoratore e incubo dell’azienda? Il problema non è aver paura di affrontare un tema esplosivo, ma avere il coraggio di sottolineare un rischio fatale: perdere la guerra dei talenti

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Smart Working, paradiso del lavoratore e incubo dell’azienda?

Smart Working, paradiso del lavoratore e incubo dell’azienda? Il problema non è aver paura di affrontare un tema esplosivo, ma avere il coraggio di sottolineare un rischio fatale: perdere la guerra dei talenti

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Smart Working, paradiso del lavoratore e incubo dell’azienda? Lo smart working fa male alle aziende? In smart working si fa finta di lavorare?

Domande volutamente “antipatiche“, poste con l’intenzione di provare a prendere di petto un problema che non converrebbe a nessuno mettere in disparte. Magari in attesa di improbabili soluzioni miracolistiche…

Dovremmo pur decidere se il principale lascito della pandemia in termini lavorativi abbia o non abbia un futuro a lungo termine, incidendo nell’organizzazione del lavoro delle aziende italiane.

È chiaro che non possa esistere una risposta valida per tutte le imprese, ancor meno tutti i lavoratori e le molteplici e diverse mansioni. Il principio di fondo va affrontato, ponendosi quelle domande da cui siamo partiti e accettando il relativo dibattito.

Ciascuno di noi potrebbe citare numerosi esempi in un senso o nell’altro: aziende in cui lo smart working ha aumentato la produttività, la soddisfazione dei collaboratori e la loro efficienza. Anche il credere nella causa comune, il che in Italia è considerato pochissimo. Altre, in cui semplicemente si fa finta di lavorare e non è un problema solo del pubblico, tanto per essere chiari.

Che si fa? Lavoreremo tutti come prima della pandemia? Il lavoro da remoto sarà considerato una specie di privilegio? Finirà per diventare un benefit di fatto?

Possiamo avere in simpatia o antipatia il lavorare da casa – per quanto mi riguarda non lavorerei sempre e neppure principalmente da remoto neppure sotto tortura, ma questo vale per me e basta – di sicuro non possiamo permetterci di farne una guerra di religione.

È un fatto incontrovertibile che per i lavoratori più giovani e in special modo i più formati e quelli consapevoli di avere mercato, il work life balance non sia una moda o una generica manifestazione di intenti. È molto più di una richiesta da gettare sul tavolo dei recruiter.

Il problema non è aver paura di affrontare un tema esplosivo, ma avere il coraggio di sottolineare un rischio fatale: perdere la guerra dei talenti. Se un’azienda non risulterà più attrattiva per quei lavoratori in grado di fare la differenza (sarà antipatico anche questo, ma non siamo tutti uguali..) sarà il suo di futuro ad essere messo in discussione.

Non si tratta di ideologia o di fare “i moderni” o meno, è pura attenzione all’interesse generale, all’efficienza e al profitto.

Di Fulvio Giuliani

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