Sovranismo linguistico
Mentre la presidente del Consiglio si smazza le inevitabili incombenze legate al suo incarico, altri si baloccano con futilità più o meno sensate
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Mentre la presidente del Consiglio si smazza le inevitabili incombenze legate al suo incarico, altri si baloccano con futilità più o meno sensate
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Mentre la presidente del Consiglio si smazza le inevitabili incombenze legate al suo incarico, altri si baloccano con futilità più o meno sensate
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Mentre la presidente del Consiglio si smazza le inevitabili incombenze legate al suo incarico, altri si baloccano con futilità più o meno sensate
Evidentemente i nuovi potenti di Fratelli d’Italia si stanno un po’ annoiando – la fatica del governare logora, altro che – se alcuni di loro, e non tra i più sprovveduti, sentono il bisogno quotidiano di inventarsi qualche diversivo che soddisfi la famosa spinta identitaria che li ha accompagnati al potere.
E così, mentre la presidente del Consiglio si smazza le inevitabili incombenze legate al suo incarico, altri si baloccano con futilità più o meno sensate: ecco dunque il vicepresidente della Camera che dal suo prestigioso scranno si lancia in una intemerata contro la lingua inglese, prendendosela con l’innocuo e popolarissimo dispenser (quello del sapone), urlando «Si dice dispensatore, qua si parla italiano!» e così rinverdendo la memoria di tempi lontani nei quali il regime ordinava di chiamare “nappa” il foulard e “Luigi Braccioforte” il musicista Louis Armstrong. È dunque lecito attendersi che nell’era Rampelli il question time verrà denominato “tempo della domanda” e la leggendaria buvette di Montecitorio “piccolo bar”, senza dire che verrà abolito il termine premier che è una roba inglese, dando largo a “cinguettìo” e “libro della faccia” a proposito dei “sociali” che – come Rampelli ben sa – in aula si adoperano molto più dei disegni di legge.
Questa sortita rampelliana fa ovviamente parte della nervosa rincorsa della destra al recupero di una sua egemonia culturale. Operazione in sé perfettamente legittima, nella quale però bisognerebbe evitare di inciampare nelle proprie scarpe, com’è accaduto al ministro della Cultura Sangiuliano a proposito della sua proposta di una fiction sulla Fallaci (già realizzata e trasmessa anni fa su Rai Uno) o al ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara che con eccesso di zelo accademico ha pensato di omaggiare il 9 novembre, anniversario della caduta del Muro di Berlino, con una specie di circolare molto dotta nel merito (è il caso di dire) ma un tantino burocratica nella forma.
A questo punto è lecito attendersi che si replicherà l’iniziativa in tutte le altre giornate che evocano la lotta per la libertà, che le fiction le decida la Rai e non il Minculpop di Sangiuliano, che Rampelli ben diriga i lavori dell’Aula senza perdere tempo a edificare un “sovranismo linguistico” nel XXI secolo. Affermare un’egemonia è una roba seria, non queste cose qua.
Di Mario Lavia
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