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Squarcio

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Seguendo il percorso delle parole ci si accorge che la vittoria delle democrazie s’accompagna allo squarciarsi del loro tessuto interno. La ricerca del consenso per contrapposizione chiama in servizio parole sempre più dure, spingendosi a emulare una guerra civile

Squarcio

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Seguendo il percorso delle parole ci si accorge che la vittoria delle democrazie s’accompagna allo squarciarsi del loro tessuto interno. La ricerca del consenso per contrapposizione chiama in servizio parole sempre più dure, spingendosi a emulare una guerra civile

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Squarcio

Seguendo il percorso delle parole ci si accorge che la vittoria delle democrazie s’accompagna allo squarciarsi del loro tessuto interno. La ricerca del consenso per contrapposizione chiama in servizio parole sempre più dure, spingendosi a emulare una guerra civile

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Le parole non sono chiacchiere ma fatti. Seguendo il percorso delle parole ci si accorge che la vittoria delle democrazie s’accompagna allo squarciarsi del loro tessuto interno. La ricerca del consenso per contrapposizione chiama in servizio parole sempre più dure, spingendosi a emulare una guerra civile. Poi prende forma, si manifesta come tale e succede quel che gli Stati Uniti stanno vivendo: chi vuol vincere la guerra civile delle parole innesca la guerra civile con le armi.

La ricchezza è enormemente cresciuta, nel mondo, quando nei commerci internazionali le parole usate erano quelle del nostro diritto e delle nostre istituzioni internazionali. Il che è potuto accadere dopo il crollo dell’Unione Sovietica. In un mondo più permeabile le parole sono corse portando con sé i pensieri, così anche i sistemi dispotici sentono il bisogno di organizzare le elezioni perché non saprebbero più come altro legittimarsi. Sono false, senza libertà, arrestando o ammazzando gli oppositori, proibendo anche i social non direttamente sotto il controllo governativo, ma le chiamano elezioni.

Scorrete le parole pronunciate a Pechino dalla congrega di despoti colà riunitasi, vi troverete parole che tradiscono il significato: “uguaglianza”, che sta per uguale peso di democrazie e dittature; “volontà popolare”, che sta per identificazione di un popolo con un capo eletto senza libertà; “autodeterminazione”, che sta per interdizione al contestare che un popolo invaso possa essere felice d’esserlo. E così via. Usano parole mendaci perché il loro opposto, quello che usavano prima, non ha corso civile e la “dittatura del proletariato” ha ora un fascino pari a zero.

Un nostro successo, che però ha un suo rovescio: le dittature hanno imparato le parole del mondo libero e gliele ritorcono contro, approfittando della nostra libertà. Questo è il lavoro di guerra ibrida che il ministro della Difesa giustamente denuncia, salvo ritrovarselo anche dentro al governo.

L’esplosione digitale è roba nostra, per la precisione americana. Una potenza enorme, ma che ci esplode anche addosso. Le parole sono poche e devono essere dure. L’identità in positivo richiede spiegazioni, quella in negativo è più facile: gli altri sono colpevoli, traditori, affamatori. Così ho già finito quel che c’era da dire. Ma se fosse vero anche soltanto la metà, non sarebbe bastevole per andargli a sparare? Attenti, perché con le parole della vittoria tradita si preparò il fascismo e con quelle della Resistenza tradita si preparò il terrorismo rosso. E sparavano sul serio.

In un Paese libero è bellissimo che ci siano opinioni differenti, anche espresse in modo puntuto, urticante. Fa parte del gioco democratico. Ma fate un giro nell’area digitale, dove si sintetizza un concetto e poi si apre la diga degli insulti. Certo, lo sappiamo: è la viltà dell’anonimato, la rabbia della frustrazione, l’irrilevanza schiumante. Chiedono rispetto per le loro opinioni, ma non ne hanno. Vabbè, ma la realtà è diversa. Insomma: nella realtà una parlamentare usa esattamente quel linguaggio nei confronti di un ministro, non replica, non argomenta, gli dà del venduto; i parlamentari parlano in Aula per far registrare i due minuti che poi mettono sui social; si fa politica attribuendo alla destra o alla sinistra le opinioni del più imbecille ed estremista, sapendo che sarà questo a portare identità e consensi. Non provo a migliorare il mio avversario, lo voglio peggiorato.

Così uccidono un estremista americano di destra, i maggiori esponenti della sinistra condannano il fatto, in qualche chat demente s’inneggia all’assassinio, qualche intellettuale con l’intelletto in vacanza dice che se l’è cercata e allora si strilla: la sinistra giustifica l’assassinio. Ricambiati.

Così lo squarcio si allarga, nel vuoto precipita la politica, la democrazia s’ammala e il mondo che ha vinto s’appresta a farsi fuori da sé solo. Impariamo tutti, a cominciare da chi fa comunicazione e politica, che le parole sono fatti. Talora fattacci.

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