Il Suv giudiziario
Il Suv giudiziario
Il Suv giudiziario
Nel circo Barnum della giurisprudenza penale creativa sta emergendo un nuovo reato: essere proprietari o avere il possesso di un Suv. Sta delineando il profilo di questa fattispecie un Grande Inquisitore, recentemente promosso a capo della più importante Procura d’Italia. Parliamo di Nicola Gratteri, che ha già formulato una presunzione juris et de jure (di quelle che non ammettono una prova contraria), secondo la quale chi viaggia in Suv è un «cafone».
Nonostante lo zelo e la sicumera che lo hanno portato per tanti anni, in Calabria, a compiere periodiche retate di «presunti innocenti» (una definizione che Gratteri ha usato durante una conferenza stampa con riguardo agli ultimi arresti effettuati), il pm d’antan nonché beniamino dei talk show sa bene che la ‘cafonaggine’ di per sé non è un reato e che alla guida di un Suv al massimo si può incorrere in contravvenzione per eccesso di velocità. Ma Gratteri ha un asso nella manica e ha già trovato il profilo di reato che trasforma il ‘cafone’ in delinquente.
In proposito si può risalire a una giurisprudenza che risale alla notte dei tempi. Fu per essere stato riconosciuto colpevole di questo reato che Socrate fu condannato a bere un infuso di cicuta. Il filosofo del “conosci te stesso” fu sottoposto a processo con l’accusa di corrompere i giovani con le sue predicazioni nei vicoli e nelle piazze di Atene. Ecco allora che il cerchio si chiude intorno alla fattispecie di reato: il ‘cafone’ che viaggia in Suv corrompe i giovani proponendosi come modello di vita da imitare. E nello stesso tempo il ‘cafone’ mina l’autorevolezza dei professori i quali, mostrandosi in giro alla guida di una vecchia utilitaria, diventano degli ‘sfigati’ nella considerazione dei loro studenti. E i genitori non aiutano i figli a crescere ma rimangono loro stessi degli inguaribili Peter Pan e dei ‘cattivi maestri’ perché (dis)educano i ragazzi a dare importanza agli status symbol che conferiscono le stimmate del successo nella vita.
Poi Gratteri ha avuto un soprassalto di deformazione professionale. Le mafie – ha affermato – avvicinano i giovani attraverso TikTok dove vengono, secondo il procuratore, contrabbandate le illusioni di un benessere privo di valori e indifferente ai rischi della illegalità. Non poteva mancare la reprimenda verso i presidi che invitano il magistrato di grido a parlare nelle scuole, anziché portare gli studenti a vedere da vicino gli effetti del crimine e della droga. Ma mi pare che la sola differenza esistente fra il presentarsi in aula o in uno studio televisivo stia proprio nel numero delle persone a cui ci si rivolge. E i giovani possono imbattersi, se seguono i talk show, in magistrati che nell’attività professionale si sentono alla guida di un Suv. E così si comportano.
di Giuliano CazzolaLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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Tag: Evidenza
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