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The Great Resignation, l’impatto della disaffezione al lavoro fisso

Lo scorso anno, in pochi mesi, ben mezzo milione di persone ha dato dimissioni volontarie, senza avere già in mano un altro contratto. Questo fenomeno è noto come ”The Great Resignation”
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Secondo uno studio di McKinsey, il 40% dei lavoratori a livello mondiale è intenzionato a cambiare lavoro nei prossimi mesi. Negli Usa, secondo il Dipartimento del Lavoro, ad agosto 2021 oltre 4,5 milioni di persone hanno lasciato il proprio lavoro. In Italia i numeri sono preoccupanti: l’anno scorso in pochi mesi, secondo i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, ben mezzo milione di persone ha dato dimissioni volontarie. Per l’Associazione Italiana Direzione Personale quelle fra i giovani toccano il 60% delle aziende.

Il fenomeno, noto come The Great Resignation, riguarda appunto un aumento importante e anomalo di persone che lasciano la propria occupazione. L’innesco di questa dinamica viene imputato alla pandemia, che di colpo ha messo milioni di persone di fronte a paure nuove e a molto tempo libero inatteso, imponendo un ripensamento su vita, lavoro e priorità. Più di un terzo delle persone che si sono licenziate secondo i crismi del fenomeno descritto lo ha fatto senza rete, senza avere già in mano un altro contratto. La pandemia per molti è stata decisamente un trauma psicologico importante. In questa situazione sono sempre di più le imprese che faticano a trovare personale: non solo per il noto mismatch tra le competenze richieste e quelle disponibili ma anche perché sempre meno persone sono motivate a lavorare secondo vecchi schemi. In particolare, i giovani ambiscono a gestire con flessibilità il tempo lavorativo e il tempo libero, cercano sfide motivanti in grado di farli crescere e imprese che li considerino e gli diano deleghe effettive.

Il nostro sistema è rigido e quindi inadeguato rispetto alle tendenze chiare nei Paesi sviluppati, dove il mondo del lavoro diventerà sempre più una sorta di Borsa in cui le persone venderanno i propri talenti e competenze, portando i rapporti professionali verso flessibilità e riduzione di esclusività. Se da un lato il Parlamento dovrà con coraggio riformare il quadro giuslavoristico, dall’altro le imprese potranno restare competitive solo sviluppando modelli e politiche in grado di attrarre, sviluppare, motivare le persone.

I programmi di sustainability e di people engagement sono fondamentali per accrescere il senso di adesione valoriale dei collaboratori all’impresa. Assegnare ruoli apicali a manager tecnicamente preparati ma anche dotati di forte empatia costituisce un argine importante alla diaspora del personale, oltre che uno strumento attivo di team building. Da ultimo, gli approcci di social collaboration e di condivisione trasparente di informazioni aziendali devono essere facilitati dalle tecnologie digitali. Selezionare, crescere e motivare le persone costa fatica e risorse finanziarie, ma perderle costa molto di più, per cui è bene prendere coscienza che ha poco senso avere dipendenti demotivati e pronti ad andarsene, mentre ne ha molto avere a bordo tanti “collaborattivi”.

 

di Francesco Orlando

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