A marzo tornano i test Invalsi. Erano stati sospesi nel 2020 e in parte l’anno scorso per comune senso del pudore, per non dover esibire davanti a tutti le vergogne di una didattica a distanza molto distante da standard accettabili. L’imminente cimento dei quiz (a lungo ostracizzati da insegnanti che non si rassegnano all’idea di essere a loro volta valutati) viene annunciato quale epifania di una riforma volta a contrastare la dispersione scolastica e i divari territoriali nella formazione. Sarà pure, ma intanto per gli studenti delle quinte superiori – i primi sottoposti al monitoraggio sul loro stato di apprendimento – tutto questo non conterà ai fini della Maturità.
Tremebondi per un esame in cui verranno (attenzione, spoiler!) tutti promossi, potranno tirare un legittimo sospiro di sollievo. Non così chi crede che gli effetti di un cattivo insegnamento andrebbero subito contrastati. E con essi il paradosso per cui proprio chi risulterà fra i peggiori riceverà poi un voto di Maturità tra i più alti, assegnato grazie alla complice benevolenza di una commissione di manica larga.
Di Vittorio Pezzuto
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