Troppi morti dietro le sbarre
Un morto ogni quattro giorni, 74 suicidi in 10 mesi: è il dato peggiore dal 2009 sulla situazione delle carceri italiane. Un argomento delicato ma non per questo da ignorare.
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Un morto ogni quattro giorni, 74 suicidi in 10 mesi: è il dato peggiore dal 2009 sulla situazione delle carceri italiane. Un argomento delicato ma non per questo da ignorare.
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Un morto ogni quattro giorni, 74 suicidi in 10 mesi: è il dato peggiore dal 2009 sulla situazione delle carceri italiane. Un argomento delicato ma non per questo da ignorare.
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Un morto ogni quattro giorni, 74 suicidi in 10 mesi: è il dato peggiore dal 2009 sulla situazione delle carceri italiane. Un argomento delicato ma non per questo da ignorare.
Un morto ogni quattro giorni. Settantaquattro suicidi in dieci mesi: è il dato che fotografa la situazione nelle carceri italiane.L’Associazione Antigone, che si occupa dei diritti dei detenuti, sottolinea come i numeri siano allarmanti: è il dato peggiore dal 2009, quando a fine anno si contarono 72 suicidi nei penitenziari. Allora però i detenuti erano 7mila in più. Ora, al di là delle singole storie, vale la pena sottolineare come l’età media di chi si toglie la vita in carcere sia di 37 anni, inoltre il 40% dei casi è di origine straniera.
A incidere – secondo i dati che pur restano difficili da reperire in modo esaustivo – anche il disagio psichico, diagnosticato o in fase di diagnosi. Ed è chiaro che gestire chi soffre di disturbi di questo genere è difficile già fuori, figuriamoci tra le mura di un istituto penitenziario. Come sottolineato proprio dall’Associazione Antigone, il sistema carcerario non dispone di un numero sufficiente di figure professionalmente preparate per gestire questo tipo di detenuti: con il risultato che circa il 40% di chi sta in carcere fa un uso sistematico di psicofarmaci. Eppure mancano anche i posti nelle Rems, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza che dovrebbero sostituire gli ormai chiusi ospedali psichiatrici.
A colpire però è anche il fatto che la stragrande maggioranza dei suicidi si registra fra persone che si trovavano in carcere da pochi giorni o addirittura da poche ore. Detenuti in attesa di giudizio o, nei casi di condanne più gravi, con pene residue di meno di due anni. Persone che avevano appena perso la libertà o che stavano per ritrovarla. Un elemento che sicuramente colpisce: verrebbe più facile immaginare che a decidere di togliersi la vita siano persone che non vedono davanti a sé alcuna prospettiva di reinserimento nella società e invece non è così.
Resta il fatto che il tasso di suicidi fra detenuti è sedici volte superiore a quello che si registra nel resto della società. L’argomento è delicato, anche perché monitorare quello che accade nei vari istituti di pena è tutt’altro che semplice. Senza voler demonizzare il sistema intero: le carceri italiane non sono certo quelle americane. I numeri però restano e con quelli bisogna fare i conti.
E ci sono anche vicende che inevitabilmente colpiscono: come quella del 36enne che si è impiccato nel carcere di Torino dove era in attesa dell’udienza di convalida dell’arresto per aver rubato un paio di cuffiette bluetooth in un centro commerciale. E a Milano il sindaco Sala, dopo essere entrato a San Vittore, ha definito le condizioni in cui vivono i detenuti «inaccettabili». Il tema delle carceri è naturalmente delicato, ma affrontarlo invece di far finta che non esista è un importante segno di civiltà.
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