Una favola senza il bel finale
| Società
L’esonero di Siniša Mihajlović da allenatore del Bologna. Lui, che l’anno scorso colpito da una malattia devastante, non ha mollato di un passo.

Una favola senza il bel finale
L’esonero di Siniša Mihajlović da allenatore del Bologna. Lui, che l’anno scorso colpito da una malattia devastante, non ha mollato di un passo.
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Una favola senza il bel finale
L’esonero di Siniša Mihajlović da allenatore del Bologna. Lui, che l’anno scorso colpito da una malattia devastante, non ha mollato di un passo.
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È finita e non è finita bene. L’esonero di Siniša Mihajlović da allenatore del Bologna era nell’aria da giorni, se non da settimane. La squadra non ingrana, la magia è finita, i giocatori non mostravano più di riuscire a seguire il tecnico. Forse è solo una squadra normale e c’è poco da fare. Comunque sia, non stiamo scrivendo di calcio.
Perché l’anno scorso Siniša Mihajlović ha interpretato una vera e propria favola sportiva. Nel pieno di un dramma terribile, colpito da una malattia devastante, il vecchio campione non ha mollato di un passo, appoggiato da un’intera città, dalla società, dalla squadra. Non c’era stadio che non si alzasse in piedi per lui, che non abbia provato commozione a osservare quella figura smagrita e protetta da un cappellino di lana a cui aggrapparsi. In questa stagione, tutto sparito. La piazza ha cominciato a pensare più ai risultati che non arrivavano che alla vicenda umana, la società non sapeva come uscirsene e ha provato a spingere il tecnico a delle dimissioni dolci, pur di non lasciarsi male.
Siniša, però, resta Siniša. Un uomo che ha fatto del carattere, del guardare dritto negli occhi cose ben peggiori di una partita di pallone la sua cifra e se n’è andato sbattendo la porta. Quanta amarezza, soprattutto quanta bestialità e imbecillità in chi lo ha insultato, attaccando anche la sua famiglia e senza nessuna remora nel tirare in ballo persino la malattia. È difficile insegnare a un attaccante come far goal, è impossibile insegnare a uno stupido il rispetto.
Di Diego de la Vega
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