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Università proteste

Università, proteste e vecchi fantasmi

Cosa sta succedendo nelle università italiane, americane e di altri Paesi occidentali? Tanto per cominciare, chi protesta non sono “gli studenti”

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Cosa sta succedendo nelle università italiane, americane e di altri Paesi occidentali? Tanto per cominciare, chi protesta non sono “gli studenti”

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Cosa sta succedendo nelle università italiane, americane e di altri Paesi occidentali? Tanto per cominciare, chi protesta non sono “gli studenti”

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Cosa sta succedendo nelle università italiane, americane e di altri Paesi occidentali? Tanto per cominciare, chi protesta non sono “gli studenti”

Cosa sta succedendo nelle università italiane, americane e di altri Paesi occidentali? Tanto per cominciare, dal Politecnico di Torino a Yale chi protesta non sono “gli studenti”, ma quote fortemente politicizzate e impegnate in una singolare riscoperta – a tempo abbondantemente scaduto – di concetti, slogan e atteggiamenti che non furono neppure dei loro padri.

Negli anni in cui si incendiavano Berkeley e la Sorbona dando il via al Sessantotto, i loro genitori erano appena nati. È probabile che questi ragazzi siano cresciuti assorbendo più che altro la generazione del disimpegno. Non se ne rendono conto, ma scimmiottano le parole d’ordine di chi in quegli anni bollenti diede l’assalto all’università (parruccona e baronale, per carità), distruggendola e provocando conseguenze pesanti sul livello di un’intera classe dirigente. 

Cerchiamo di non dimenticarlo, perché quegli anni degenerarono per alcuni nella lotta armata e nel terrorismo ma per molti in quella disintegrazione del concetto di merito con cui facciamo i conti in pieno Terzo millennio. Fregando i figli dei più poveri, mentre per quelli dei più ricchi c’è sempre una soluzione, una scorciatoia o qualche corso a pagamento anche se non proprio prestigioso.

Torniamo al cuore delle proteste: la questione palestinese. Se un gruppo di esagitati prova a deviare dal percorso autorizzato di un corteo, a dare l’assalto a un Rettorato, a impedire a qualcuno di parlare e le forze dell’ordine intervengono (come sacrosanto in questi casi, non certo in altri in cui si è palesemente esagerato), queste ultime sono invariabilmente ‘fasciste’, mentre l’unico squadrismo che abbiamo visto in strada o nelle aule è quello di chi ha provato a impedire di esprimere idee diverse dall’odio cieco e d’ordinanza nei confronti di Israele. Non di rado appoggiato da un’intellighenzia radical chic pronta a mandare avanti gli altri.

L’urlo «Palestina libera!» è un corollario della negazione di ogni diritto dello Stato di Israele, dei suoi cittadini e sempre più pericolosamente degli ebrei in quanto tali. Si maschera l’antisemitismo con uno sbandierato antisionismo, fra chi appoggia apertamente il progetto dei tagliagola di Hamas di liberare dalla presenza ebraica tutta l’area “dal Giordano al mare” (il sogno dell’Iran) e chi si ‘accontenta’ di limitare la propria furia contro coloni e ultranazionalisti. 

Che questi ultimi siano un gigantesco problema per Israele e di conseguenza per noi occidentali non ce lo devono ricordare quelli che fanno andare le mani, lo sappiamo con chiarezza. 

Come sappiamo che gli unici anticorpi possibili alle derive estremiste in Israele sono nel Dna dell’unica democrazia che si sia mai vista da quelle parti. Particolare che da decenni continua a sfuggire a generazioni di studenti.

di Fulvio Giuliani

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