Vannacci, le parole e la vergogna
| Società
Parliamo ancora del caso Vannacci, l’uomo dichiaratosi l’erede di Giulio Cesare, attraverso una lettera arrivata al direttore Fulvio Giuliani

Vannacci, le parole e la vergogna
Parliamo ancora del caso Vannacci, l’uomo dichiaratosi l’erede di Giulio Cesare, attraverso una lettera arrivata al direttore Fulvio Giuliani
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Vannacci, le parole e la vergogna
Parliamo ancora del caso Vannacci, l’uomo dichiaratosi l’erede di Giulio Cesare, attraverso una lettera arrivata al direttore Fulvio Giuliani
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Sono giorni che mi chiedo (e non trovo uno straccio di risposta) cosa scateni tanta pochezza come quella di cui ci stiamo occupando ormai senza sosta. Il “merito” è ovviamente del noto generale verbalmente incontinente.
Vedo il Paese dar spazio a un soggetto che si dichiara erede di Giulio Cesare (noto bisessuale sin dai tempi di Cicerone) prendendolo sul serio, senza portarlo di peso sul palco di Zelig. A un autoproclamatosi saggista che voleva tastare la pelle delle persone di colore in metropolitana a Parigi, per scoprire se al tatto risultasse “diversa”.
Anche io ho una curiosità: esisteranno teste vuote? Fisicamente vuote, intendo, prive di materia grigia. Resterò con l’atroce dubbio. Sta di fatto che ho bisogno di respirare aria pura e allora condivido un messaggio che ho ricevuto nelle stesse ore in cui il nipote di Napoleone assurgeva a notorietà nazionale.
A scrivere è Daria (nome di fantasia, ma tutto il resto è vero): “Buongiorno Fulvio, sono una donna rumena arrivata qui 15 anni fa. Sai, mi fa tristezza questa zavorra che alcuni giovani italiani hanno: abbiamo una sola vita e dobbiamo viverla… io a 15 anni rimasi sola in Romania con un fratello più piccolo da curare. I miei dovevano per forza cambiare Paese per il nostro futuro. A 18 anni ho pagato un amico di famiglia, un poliziotto, per avere due passaporti. Non ne potevo più della solitudine, dell’ennesimo compleanno da sola a guardare dalla finestra. In due giorni eravamo già qui da voi, non voglio raccontarti la reazione dei miei: non avevano una casa loro, non avevano tanto da offrirci, ma io e mio fratello abbiamo iniziato a studiare l’italiano, fare amicizia con i vicini e presto avevano un lavoro. Vero, non abbiamo studiato dopo il liceo e facciamo lavori normali, ma ci siamo mossi, non dipendiamo da nessuno.
Io amo i viaggi, l’Italia e la lettura, ho sposato un sergente dell’Esercito (grande fan tuo) e sono felice. Tante volte la situazione in Italia mi spaventa, vorrei cambiare nazione, ma il mio cuore non mi lascia, mi ha regalato troppo questo Paese, presto diventerò Italiana e ne sono felice.
Mi chiedo cosa si potrebbe fare per dare ai giovani voglia di vivere, di fare della loro vita qualcosa di soddisfacente, ma anche di rispettare l’Italia, pagando le tasse, rispettando le regole. Ci dev’essere qualcosa, altrimenti è tutto molto triste”.
Finisco di leggere e penso a un uomo con tante stelle e poco cuore, che potrebbe dover comandare quel sergente, marito di una donna capace di scrivere questo. Un’immigrata, arrivata con il fratellino da uno di quei posti considerati inferiori dal nipotino di Scipione l’Africano. E mi vergogno per lui.
di Fulvio Giuliani
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