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Venti di gelo dagli Stati dell’Est

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Una possibile crisi nell’Unione europea sul versante Est. Alcuni Stati dell’ex blocco sovietico hanno dimostrato più volte insofferenza nei confronti dei diritti umani

Venti di gelo dagli Stati dell’Est

Una possibile crisi nell’Unione europea sul versante Est. Alcuni Stati dell’ex blocco sovietico hanno dimostrato più volte insofferenza nei confronti dei diritti umani
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Venti di gelo dagli Stati dell’Est

Una possibile crisi nell’Unione europea sul versante Est. Alcuni Stati dell’ex blocco sovietico hanno dimostrato più volte insofferenza nei confronti dei diritti umani
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Potrebbe aprirsi un’altra crisi nell’Unione europea, questa volta sul versante Est? Negli ultimi anni non sono mancati motivi di frizione fra i vertici di Bruxelles e gli Stati dell’ex blocco sovietico, colpevoli di voler interpretare a piacimento le logiche garantiste e pluraliste proprie delle democrazie occidentali. Ungheria, Polonia e Bulgaria hanno dimostrato in più occasioni evidente insofferenza nei confronti dei diritti umani, del principio di uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini, della libertà di parola e di stampa, dell’indipendenza della magistratura, del rispetto degli esiti elettorali. I capi di governo di questi tre Paesi (Orbán, Morawiecki e Borisov) sembrano non voler rinunciare a quella ‘piena sovranità’ che ogni Stato membro è tenuto, in parte, a cedere all’Ue in virtù della libera scelta di aderire ai suoi Trattati. I Paesi dell’Est hanno una storia di sofferenza alle spalle, fatta di obbedienza, repressione e controllo sistematico da parte di governi comunisti, centralisti e fagocitanti che li hanno privati della libertà per buona parte del secolo scorso. Dopo la caduta del muro, questi Stati hanno iniziato un lento cammino verso la libertà e l’ingresso all’interno dell’Unione europea (avvenuto tra il 2004 e il 2007) sembrava in grado di fornire quel supporto necessario perché il germe della democrazia venisse a crescere e irrobustirsi. Tuttavia, nonostante la prossimità con Bruxelles e gli ingenti incentivi economici derivanti sia dai contributi diretti che dai benefici del mercato unico, i governi nazionali non sembrano voler abbandonare quelle condotte proprie degli Stati illiberali. L’ultimo braccio di ferro in ordine di tempo, e ancora in corso, è quello con il governo polacco, giudicato colpevole dalla Corte di giustizia di aver istituito nel 2017 una Camera disciplinare per i magistrati. La Commissione, per la prima volta, ha chiesto al giudice europeo che vengano comminate sanzioni alla Polonia per non aver rispettato la sentenza. Il rispetto dello Stato di diritto è un principio necessario e fondante dell’Unione e il fatto che si continui sulla strada dell’aperta sfida alle istituzioni europee significa che, forse, qualcosa potrebbe essere andato storto lungo il processo di integrazione. Vien da chiedersi se, alla luce di queste evidenze, abbia avuto senso disegnare un’Europa a più velocità, piuttosto che attendere la preventiva omologazione agli standard europei.   di Stefano Musu

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