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Sorella paura

Sono cinque anni che non giochiamo una partita così, perché anche la sfida all’Austria di pochi giorni fa aveva un sapore diverso. Partivamo favoriti, circostanza che storicamente non ci ha mai portato bene.
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Sorella paura

Sono cinque anni che non giochiamo una partita così, perché anche la sfida all’Austria di pochi giorni fa aveva un sapore diverso. Partivamo favoriti, circostanza che storicamente non ci ha mai portato bene.
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Sorella paura

Sono cinque anni che non giochiamo una partita così, perché anche la sfida all’Austria di pochi giorni fa aveva un sapore diverso. Partivamo favoriti, circostanza che storicamente non ci ha mai portato bene.
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Sono cinque anni che non giochiamo una partita così, perché anche la sfida all’Austria di pochi giorni fa aveva un sapore diverso. Partivamo favoriti, circostanza che storicamente non ci ha mai portato bene.
  Nei quarti di finale degli Europei, contro il Belgio, numero uno del ranking mondiale, ci ritroviamo in quella che è la nostra particolare zona di comfort. Quando possiamo giocare di rimessa con la vita, prima ancora che sul campo di pallone, e possiamo fare praticamente qualsiasi cosa. Era cinque anni che non ci capitava, da quando eliminammo la Spagna agli Europei e fummo poi sconfitti solo ai calci di rigore dai campioni del mondo tedeschi. Era l’Italia operaia e tecnicamente piuttosto povera, che Antonio Conte aveva plasmato a sua somiglianza. Rendendola una squadra da tutto e subito, tanto è vero che non sarebbe mai sopravvissuta un solo mese a quel bel torneo. Lo sapeva benissimo lui per primo e abbandonò la compagnia a lavoro concluso. Oggi, la storia è molto diversa: siamo all’inizio di un percorso potenzialmente vincente. Il tasso tecnico, i margini di crescita, tutto è diverso e superiore, rispetto agli Azzurri del 2016. Comunque sia, si torna sempre lì: a quando l’Italia è sfavorita. È in quelle giornate che diventa tremendamente pericolosa. Non è solo storia, per quanto importante, tantomeno scaramanzia o mettere le mani avanti. È un’analisi fredda di come abbiamo costruito le nostre pagine più belle. Specchio fedele di un modo di essere del paese. Non amiamo essere precisini e ordinati, ma ci offendiamo facilmente se ce lo fanno notare. Quando giochiamo a calcio, è lo stesso: non abbiamo certo la nomea dei ricamatori di gioco, ma quando ci accusano di essere dei catenacciari diventiamo delle belve e giochiamo, come nell’’82, con due punte, due ali e un regista avanzato. Alla faccia del catenaccio. Oggi, ci piace raccontare del bel gioco di Mancini, ma ci siamo tutti emozionati ai supplementari di pura sofferenza contro l’Austria. Non riusciamo ad augurarci di soffrire anche questa sera, per carità. Il masochismo non rientra nelle passioni nazionali, ma sappiamo rispettare la paura. Il sentimento che aiuta a trasformare i bambini in uomini. di Fulvio Giuliani

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