Blek Macigno il trapper
Blek Macigno il trapper: il personaggio più amato del prolifico trio torinese EsseGesse
Nel 1953 un cupo e rozzo eroe di nome Black appare nella storia “Il piccolo trapper”, pubblicata in un numero della rivista a fumetti “Cagliostro” della casa editrice milanese Dardo. Quella pubblicazione dura appena dodici numeri e un trimestre, ma i tre autori della storia breve credono nelle potenzialità del personaggio o perlomeno in quella della sua professione. Il richiamo esotico di quegli uomini che – indipendenti e liberi – cacciavano gli animali della frontiera americana con trappole ingegnose e i longrifle tipici del Kentucky era stato trasmesso ai fumettisti dai volumi di James Fenimore Cooper (autore de “L’ultimo dei Mohicani”) e Zane Grey, quest’ultimo famoso per aver definito il genere western col suo romanzo “La valle delle sorprese” (in origine “Riders of the Purple Sage”).
È così che i torinesi Giovanni Sinchetto, Dario Guzzon e Pietro Sartoris propongono al patron della Dardo, Gino Casarotti, una nuova serie con protagonista un trapper. Ai contabili della casa editrice non pare vero che le stesse menti che avevano realizzato “Capitan Miki” (200mila copie da 20 lire vendute alla settimana, cioè 88mila euro ogni sette giorni adeguati all’inflazione) possano sfornare una nuova serie di successo e incoraggiano Casarotti a dare spazio al trio. Gli EsseGesse, nome creato dalle loro iniziali (Sartoris andava in sollucchero per gli acronimi), sanno però quanto sia difficile che il fulmine del successo colpisca due volte consecutive una redazione e s’impegnano per un irrobustimento del concept del nuovo fumetto.
Il tozzo cacciatore della storiella apparsa su “Cagliostro”, a cui nessuno negava una qualche aderenza storica, raddoppia quasi la sua altezza. Non solo: diviene biondo e guadagna due spalle da culturista, mentre il suo petto nerboruto è coperto a malapena da un gilet di pelliccia. Un leitmotiv – quello d’indossare le vestigia delle prede cacciate – ripreso dal tipico cappello di pelo, con tanto di coda di procione a penzoloni.
Dei vistosi e attillati pantaloni rossi completano infine la divisa del personaggio. Rimane la questione del nome, che dopo un tale intervento di rimodellazione estetica non può più certo condividere col suo arretrato prototipo. La soluzione è però fornita dalla scarsa presenza di poliglotti nell’Italia del dopoguerra, che leggevano i nomi anglofoni com’erano scritti e non secondo la corretta pronuncia. Nasce così Blek Macigno.
Le avventure di questo erculeo e indomito protagonista – accompagnato nella lotta per l’indipendenza contro le giubbe rosse di re Giorgio III dallo spavaldo orfano Roddy e dalla spalla comica del professor Occultis – riescono così nell’impossibile impresa di raddoppiare il successo di “Capitan Miki”: per diversi anni il venduto del trapper supererà infatti persino quello degli albi di “Tex”. Un successo economico purtroppo non condiviso adeguatamente con i suoi prolifici creatori e che nel 1965 li porterà a un doloroso divorzio dalla Dardo.
di Camillo Bosco
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