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Cremonini, grande sorpresa

Quest’estate, fra i tanti problemi che stiamo vivendo, ha per fortuna riportato la musica live. Solo tornando negli stadi ci siamo resi conto quanto fossero mancati i grandi appuntamenti con i concerti, cancellati per due lunghissimi anni dalla pandemia
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I mostri sacri, a cominciare da Vasco Rossi e Ligabue, stanno registrando numeri straordinari, mentre – Covid (ancora una volta) permettendo – addirittura martedì prossimo sbarcheranno a Milano i Rolling Stones per il loro live del sessantesimo anniversario di carriera. Ce n’è, insomma, per tutti e tutti i gusti e fra gli appuntamenti di questa torrida stagione estiva i concerti di Cesare Cremonini sono forse la grande sorpresa. Una ventata d’aria fresca. Se i leggendari nomi italiani che abbiamo fatto rappresentano l’”usato sicuro”, liturgie ormai irrinunciabili del rock di casa nostra, lo straordinario successo negli stadi dell’artista bolognese regala un pizzico di novità. Chiariamolo subito, i sold out a ripetizione fatti registrare sono il meritatissimo premio a una carriera di grande spessore. Forse neppure lui, però, pensava fino in fondo di godere di una simile popolarità trasversale. Sia in termini di età, dai ragazzini a fan ormai ultra sessantenni, che di gusti musicali. Parliamo del segreto-non troppo segreto per riuscire a riempire spazi come il Meazza di Milano o lo stesso Euganeo di Padova, dove sabato sera erano in 40.000 per lui. Quello che colpisce, anche se non avrebbe considerato gli anni di carriera e i successi accumulati, è la profondità del repertorio di Cesare Cremonini, ormai arrivato a scavallare i vent’anni di hit. Dalla 50 Special dei Lunapop (che incendia ancora oggi il pubblico) ai giorni nostri, Cremonini canta tutti i 2000, in una struttura musicale sempre più matura e coinvolgente. Oltre i successi che non hanno bisogno di presentazioni, menzioni di merito a Moonwalk – canzone splendida – alla scoppiettante interpretazione di Greygouse, all’impeccabile duetto virtuale con Lucio Dalla in Stella di Mare e alla sempre poetica Nessuno vuole essere Robin. Cremonini non sbaglia una nota (nell’intero concerto padovano avremo sentito al massimo una mezza, lieve imprecisione in due ore e quindici minuti di musica), tiene il palco con consumata esperienza da star, concedendosi l’unico sfizio di una girandola di cambi d’abito e in particolare di sgargianti giacche luminescenti manco fosse Celine Dion. La band segue e supporta senza strafare e mostra un affiatamento di tutto rispetto. Uno spettacolo di livello internazionale, per un artista arrivato a piena maturazione senza smarrire mai la strada che lo fa arrivare dritto alla gente. Di Fulvio Giuliani  

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