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Il fumetto Custer e la sua distopia grottesca

Alla scoperta del distopico “Custer”, fumetto ispanofono ambientato in un futuro in cui è legale cedere i diritti di riproduzione della propria vita
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La realtà come palcoscenico e viceversa. Quando nel 1998 uscì nelle sale cinematografiche, “The Truman Show” godette di un incredibile successo soprattutto perché riuscì a suggerire con una storia leggera e catartica le potenzialità manipolatorie del medium televisivo. Il Grande Fratello orwelliano era stato adattato così dall’originale forma oppressiva e inquisitoria a una bolla (perfino fisica nella pellicola) in realtà fittizia, rassicurante e preordinata dal Potere. Tra l’angoscia del libro di Orwell e la catarsi del film di Peter Weir con Jim Carrey si può trovare un punto mediano in “Custer”, historieta (fumetto ispanofono) di Carlos Trillo e Jordi Bernet. La storia dell’investigatrice Custer – apparsa per la prima volta nel 1985 sulla rivista spagnola “Zona 84” (intitolata non a caso al capolavoro di Orwell) – è ambientata infatti in un futuro in cui è legale cedere i diritti di riproduzione della propria vita. Ritratta formosa e avvenente dalle chine del catalano Bernet, la giovane aspirante attrice Custer ha così sottoscritto un contratto per essere ripresa in maniera continuativa dalle telecamere della rete “Cbn”. E questo nonostante avesse partecipato alle proteste degli studenti di Dark City contro l’Ufficio di pianificazione urbana, entità simile al kafkiano gosplan responsabile dei piani quinquennali sovietici. Custer desiderava soltanto avere i soldi per vivere con Theo – l’amore della sua vita – e anni dopo il suo reality show è il programma più seguito della tv. La mancanza di privacy si è però dimostrata esiziale per la tenuta della coppia. Così ora la protagonista si aggira solitaria per la sordida città di Alphaville (esplicita citazione godardiana) indossando una mise stereotipata da investigatore noir e aspettando le istruzioni degli intermediari del network, con l’unica compagnia della voce di Theo ancora impressa nell’inseparabile registratore a cassette. Ancora peggio, il cinismo dell’Ufficio di pianificazione urbana contro cui si accanivano le rivolte studentesche ha trionfato, delimitando spazi appositi dove i cittadini possano suicidarsi (corsie preferenziali in tangenziale, slot orari appositi nella metro). Un nichilismo condiviso dalla società intera: la bandpiù in voga è quella degli Squartatori di Annabelle, che a ogni spettacolo amputano un arto diverso della loro prima voce; i muri sono invece tappezzati da pubblicità surreali quali «Caffenó. Provoca il cancro, ma non ingrassa! A te la scelta». Grazie alla sapienza grafica di Bernet questi dettagli osceni e quasi orrorifici creano uno sfondo alienante adatto all’intreccio anomalo scritto dallo sceneggiatore argentino Trillo. Questi narra la storia attraverso gli occhi dell’invisibile redazione dell’emittente, facendo apparire spesso in didascalia indicazioni registiche o addirittura di montaggio che predispongono il riciclo di “inquadrature” (vignette) e la riscrittura di dialoghi da un episodio all’altro per non far incupire il pubblico. Così anche quando il suicidio della protagonista – ormai stremata – verrà impedito dai controllori della sua vita, portandola a un lieto fine di libertà, al lettore risulterà difficile credere alla narrazione “ufficiale” del fumetto. Al termine delle 68 pagine dei 9 episodi di “Custer” l’illusione della bontà del narratore è ormai infranta. Di Camillo Bosco

VOTO:

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