Guns N’ Roses live at San Siro: It’s Only Rock ’n’ Roll (but I Like It)
Siamo all’ultimo grande appuntamento di questa estate rock a San Siro e, dopo gli Stones, ecco planare su Milano i Guns N’ Roses. Erano attesissimi, dopo anni di rinvii.
Su Axl e compagni si legge e sente di tutto da sempre, dalla voce che non è più quella di una volta, ai soli tutti uguali e chi più ne ha più ne metta. Critiche mosse la maggior parte delle volte da pseudo musicologi o esperti dell’arte chitarristica, rigorosamente dalle proprie camerette davanti ai pc, dopo aver registrato l’ennesimo tutorial – inutile – di un brano tecnicamente impossibile. Tutto già visto e già letto. La realtà è però ben diversa.
Son passati ormai diversi anni da quando Slash e Axl fecero pace tornando sotto il nome che li aveva consacrati nell’olimpo del rock in quello che era stato rinominato il “Not in this life time tour”, dalla celebre frase pronunciata da Rose a chi gli chiedeva se mai avrebbe riunito la band:“Non in questa vita”.
Anni serviti a ricostruire suono ed intesa, a sotterrare definitivamente dissapori di un tempo e a trovare una maturità che, da ragazzacci ribelli, non era mai stata la loro cifra distintiva. Ieri sera a San Siro, nelle 3 ore di fuoco e fiamme di concerto, si è visto il risultato, nonostante nelle ore precedenti ci fossero stati parecchi timori.
Solo qualche giorno fa infatti la band era stata costretta ad annullare una data a Glasgow per alcuni non precisati problemi alla voce di Axl, dei quali si temeva potesse esserci ancora traccia. Niente di tutto ciò. Rose ha tirato fuori dal cappello una performance oltre ogni aspettativa, gestendosi bene, spingendo dove necessario e coinvolgendo il pubblico come solo i grandi sanno fare. Certo, la voce è innegabilmente segnata dal tempo e dagli eccessi di una vita, ma lo studio e la professionalità hanno saputo metterci una pezza. Duff al basso non sembra invecchiato di un giorno, ci spiegasse come fare perché ne abbiamo un disperato bisogno.
E Slash? Suona e si diverte come un ragazzino, con una precisione e un’emotività in quelle sei corde, da far partire più di qualche brivido lungo la schiena. È evidente che ormai è come il vino: più invecchia e più migliora. Ovviamente ci sarà sempre chi non aspetta altro che criticarlo, accusandolo di suonare sempre le stesse melodie e sempre allo stesso modo. Ci spiegassero loro come dovrebbe suonarle, siamo qui che attendiamo fiduciosi. Frattanto però ci godiamo lo spettacolo di uno dei più grandi chitarristi di sempre, non vogliatecene.
Tutto positivo quindi? Non proprio. L’audio a inizio concerto era così impastato da far fatica a distinguere la voce dal resto. Per fortuna con il trascorrere del tempo è stato tutto sistemato.
I nuovi brani s’integrano bene nella scaletta e, non granché in disco, stupiscono dal vivo, ma restano troppo pochi. Quando arriva il nuovo album? Se ne fa un gran parlare da anni ma all’orizzonte ancora nulla. E dire che basterebbe quello, magari con qualche nuovo classico, a zittire definitivamente le schiere di detrattori che accusano la band di suonare solo il vecchio repertorio. Sorridiamo al pensiero che probabilmente chiunque farebbe follie per aver anche solo tre o quattro loro brani nel proprio di repertorio. Basti a testimonianza la reazione dei 60000 di San Siro alle prime note di “Welcome to the Jungle”, ai brividi di “November Rain” o al canto all’unisono su “Civil War”, con il palco illuminato dalla bandiera dell’Ucraina, a ricordarci come i grandi artisti parlino per mezzo della loro arte, non con facili slogan.
di Federico Arduini
VOTO:
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