“I treni a vapore” di Ivano Fossati
“I treni a vapore” di Ivano Fossati, scritta inizialmente per Fiorella Mannoia, è una canzone sulla speranza. Tutto ciò che ci serve in un momento così difficile.
Nel 1993 esce il primo album live di Ivano Fossati, “Buontempo”, composto da autentici inediti come “Naviganti” e “La pioggia di marzo” così come da canzoni già incise ma riarrangiate per l’occasione al Teatro Amilcare Ponchielli di Cremona il 2 e 4 marzo (il secondo volume è “Carte da decifrare”, pubblicato nello stesso anno). “Questi posti davanti al mare”, ad esempio, era stata registrata nel 1988 per “La pianta del tè” ed era interpretata assieme a Fabrizio De André e Francesco De Gregori.
“I treni a vapore”, invece, era stata scritta per Fiorella Mannoia che ne aveva dato una bella versione nell’omonimo disco del 1992. Fossati la utilizza nei concerti dal vivo e in “Buontempo” abbiamo un brano molto evocativo che si giova del tin whistle, un flauto a fischietto, suonato da Vincenzo Zitello. Dichiara il cantautore genovese in una nota: «Le registrazioni contenute in questi album non sono state sottoposte a rielaborazioni posteriori, ma sono la fedele testimonianza, nel bene e nel male, di ciò che le nostre forze ci hanno consentito di fronte al pubblico».
“I treni a vapore” descrive il momento in cui ci si addormenta cercando di trovare pace e distensione, lasciando che le preoccupazioni siano stornate da “immagini di bene”, condizionamenti mnemonici autoindotti. Fossati effigia ciò che i neuroscienziati chiamano “simulazione incarnata”, ovvero l’osservazione di un’azione riprodotta internamente, grazie alla presenza dei neuroni specchio (è la stessa cosa che accade quando leggiamo un romanzo). «Io la sera mi addormento / e qualche volta sogno, / perché voglio sognare. / E nel sogno stringo i pugni, / tengo fermo il respiro / e sto ad ascoltare. / Qualche volta sono gli alberi d’Africa a chiamare, / altre notti sono vele piegate a navigare. / Sono uomini e donne e piroscafi e bandiere, / viaggiatori viaggianti da salvare».
L’evidente utilizzo del polisindeto, cioè la presenza di numerose congiunzioni, sta a testimoniare la giustapposizione di quadri staccati, tesi ad allontanare, a sanare sempre di più la ferita di una relazione perduta («e se l’amore che avevo non sa più il mio nome») o un più generico motivo di sofferenza («il dolore passerà»). Ma ecco che entra nel pezzo il decisivo parallelismo: come i treni a vapore si lasciano alle spalle paesaggi piovosi e freddi, così il dolore sarà cancellato senza alcuna traccia del suo passaggio. L’idea di “traversare l’inverno” e “svernare” quale metafora del superare situazioni ardue della vita era già stata adoprata dal poeta irlandese Seamus Heaney in “Wintering Out” (1972). Analogamente Fossati canta: «E mi sogno i tamburi / della banda che passa / o che dovrà passare. / Mi sogno la pioggia fredda e dritta sulle mani, / i ragazzi della scuola che partono già domani. / E mi sogno i sognatori che aspettano la primavera / o qualche altra primavera da aspettare ancora, / fra un bicchiere di neve e un caffè come si deve / quest’inverno passerà».
“I treni a vapore” è, dunque, innanzitutto una canzone sulla speranza, sulla virtù della speranza intesa quale facoltà massima dell’uomo, come la intendeva Charles Péguy. Ed è anche un ottimo auspicio per oltrepassare questa stagione della storia umana particolarmente difficile.
di Alberto Fraccacreta
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Tag: musica, recensioni
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