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il cinema italiano

Il cinema italiano ha un problema (ma si può risolvere)

Il cinema italiano: troppi soldi e poca qualità. Ma tranquilli, è un problema risolvibile.
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Il cinema italiano ha un problema, confermato anche dagli addetti ai lavori. Troppi soldi e poca qualità, un rischio grosso per il movimento nostrano. Alberto Barbera non ha utilizzato troppi giri di parole: «Ho scoperto che tutti durante la pandemia hanno fatto film: in Italia si contano circa 250 titoli, qualcosa senza precedenti dagli anni Sessanta. L’anno scorso ero stato fin troppo ottimista: quest’anno abbiamo dovuto fare i conti con un panorama di luci e ombre. Abbiamo visto tantissimi italiani e complessivamente mi sento di dire che si sia puntato sulla quantità». Il numero massiccio di produzioni purtroppo è andato a danno della qualità, con l’unico obiettivo di intercettare i flussi di finanziamenti. Con l’esigenza di assicurarsi risorse, tutti si sono ‘buttati’ a produrre, senza prestare attenzione ai tempi del cinema, senza curare la qualità. Diminuire le produzioni, spesso inutili, e creare delle regole precise anche per le finestre. Questa è una strada da seguire secondo Lucy De Crescenzo, CEO di Europictures: «Condivido la posizione di Barbera, perché dalla pandemia in poi si è prodotto tantissimo. Credo che questi prodotti debbano andare direttamente in piattaforma e la legge deve in qualche modo cambiare, perché altrimenti fanno solo l’uscita tecnica per avere i benefici di legge per poi finire sulle piattaforme. Io non ho nulla contro titoli che non sono propriamente di qualità, perché magari incontrano un altro tipo di pubblico, ma non devono affollare le sale, lasciando spazio ai film come i nostri – film da festival – che invece fanno fatica a trovare spazio al cinema». Giusta una selezione più attenta dei progetti, senza però frenare le nuove proposte e i nomi nuovi. Anastasia Plazzotta, CEO di Wanted Cinema, fa una distinzione molto interessante: «Bisogna sostenere i progetti all’inizio, nella fase di sviluppo, giusto puntare sulla quantità. Poi successivamente il criterio dovrebbe restringersi, andare in produzione meno progetti». Troppe produzioni – numeri difficili da assorbire anche per le piattaforme – e la conferma di una qualità in ribasso: «Io nella mia selezione valuto i film senza preconcetti, mi ritrovo spesso a lasciare i film italiani indietro perché la qualità è inferiore. Il sistema va modificato, va migliorato, ma non deve essere ridotto il budget di investimento: deve essere distribuito in maniera diversa». Ma tra gli addetti ai lavori c’è anche chi la pensa in maniera diversa. Parliamo di Andrea Romeo, CEO e founder di I Wonder Pictures: citando il modello francese, è la quantità e la trasformazione dell’industria del cinema che genera la competizione. «La quantità, se reiterata nel tempo, può generare una crescita di competenze e di qualità», la sua analisi: «Parlando di prodotto medio, questo cresce in qualità se ce n’è grande quantità in un tempo sufficiente da fare crescere strutture, professionisti, progetti, mercato. È assolutamente saggio e giusto dare aiuto alla quantità per quanto riguarda il prodotto medio. Questo un po’ alla volta fa crescere la qualità». Va sicuramente messo un argine al prodotto non riuscito, ma verso l’alto il cinema non ha nulla da invidiare a nessuno: «Il nostro cinema ha una quantità di autori di successo e riconosciuti nel mondo come nessuna cinematografia europea in questo momento. Con i poderosi investimenti fatti in questi anni, la qualità media crescerà inevitabilmente, come successo quindici anni fa in Francia». Insomma, c’è qualcosa da fare, ma è ancora presto per il de profundis.   di Massimo Balsamo

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