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Jova Beach Party

Jova Beach Party: Jovanotti ha torto

Da qualche giorno a questa parte non si parla che del Jova Beach Party. Di nuovo. Speravamo che la storia fosse finita
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Da qualche giorno a questa parte non si parla che del Jova Beach Party. Di nuovo. Speravamo che la storia fosse finita, sepolta nel lontano 2019, ma quest’anno il Lorenzo nazionale ha deciso di riproporre il suo spettacolo itinerante lungo le coste del Belpaese nei fine settimana di tutta l’estate, portando sulle spiagge decine di migliaia di persone festanti per ore ininterrotte di musica.

È indubbio come un evento del calibro del Jova Beach Party abbia fatto e faccia bene al settore musicale, alle amministrazioni comunali coinvolte e ai commercianti del territorio. Come indubbiamente lo fa alle tasche di Jovanotti che, tra partnership e accordi, ha piazzato il logo dell’evento su praticamente tutto il brandizzabile.

Dettagli che alcuni di questi prodotti siano di quella plastica che, come un mantra, il Jova ripete non aver spazio nei suoi concerti-raduno. Effettivamente di bottigliette non ce n’è ombra a bordo palco, peccato non si possa dire lo stesso delle lattine d’acqua in alluminio vendute dall’organizzazione. Come se riciclare l’alluminio fosse una passeggiata. Va beh, questa gente dovrà pur bere: otto ore di musica e danza sotto il sole non sono una passeggiata. No, non lo sono neanche per le specie animali della fauna locale, molte delle quali protette, che nidificano o abitano le coste prese d’assalto dai fan festanti. Come non lo è per le dune, sbancate prima dell’evento insieme al livellamento della spiaggia, o per i 50 metri di tamerici abbattuti a Marina di Ravenna per far spazio ai camion del tour.

Queste sono solo una parte delle critiche mosse in queste settimane a Jovanotti, prima per bocca di numerose associazioni ed enti, poi da alcuni attivisti per mezzo social e web. E se definisci il tuo tour come «il primo grande evento itinerante al mondo che parla di ambiente, prodotto e organizzato con la massima attenzione possibile per gli aspetti legati alla sostenibilità», poi non puoi stupirti se finisci sotto la lente d’osservazione. In tutta risposta il Jova ha limitato i commenti e le interazioni al suo account Twitter, non prima di aver dato degli “Eco-nazisti” agli attivisti che lo avevano criticato, trincerandosi dietro l’appoggio degli enti locali e del WWF. Mentre al noto geologo Mario Tozzi, che lo aveva attaccato punto su punto dalle colonne de “La Stampa”, ha replicato invitandolo ad una data del tour per verificare de visu come tutto sia in regola.

Sia quel che sia, più di qualcosa stride. Nonostante si ponga come novello santone pacifista, tra danze felici e sorrisoni, Jovanotti pare ormai vivere in un universo parallelo totalmente Jova-centrico, in cui ogni opinione contraria è lesa maestà a priori, a tal punto da non esser degna di considerazione. A livello comunicativo un disastro dietro l’altro.

E se è pur vero che il WWF ha contribuito a scegliere luoghi dove l’impatto del tour potesse avere meno effetti negativi, scegliendo aree antropizzate e in centri urbani, la sensazione è che sia stato scelto il male minore. Della serie: dato che si deve fare, lo si faccia dove diciamo noi. Resta un mistero perché Jovanotti non possa fare un tour negli stadi come gli altri.

Magari perché, tra San Siro e l’Olimpico, non c’è abbastanza spazio per il suo ego.

di Federico Arduini

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