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Kick-Ass

Kick-Ass, il grottesco supereroe di Mark Millar

Mark Millar raggiunge l’apice, dopo decadi di lavoro sotto contratto su progetti altrui, ideando il fumetto “Kick-Ass”
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Nato nel 1969, lo scozzese Mark Millar scoprì per la prima volta i supereroi guardando in tv “La cavalcata di cartoni di Glen Michael”. Ultimogenito di quattro fratelli e una sorella molto più grandi di lui, era stato un regalo tardivo nel matrimonio dei suoi genitori. Fu suo fratello Bobby a regalargli i primi fumetti: un albo di Superman e il numero 121 di “The Amazing Spider-Man”, proprio quello che narra la tragica fine della prima fidanzata dell’eroe. Una lettura inconsueta per un bimbo, ma che forse lo preparò ai suoi lutti futuri. La madre di questa popolosa famiglia morì infatti quando Millar era appena quattordicenne, mentre il padre la seguì quattro anni dopo. Ormai orfano, era quindi necessario che il figlio minore si sostenesse da sé.

L’incontro con due maestri del fumetto britannico gli chiarirono quale potesse essere la sua strada. Lo stesso Millar ricorda nelle interviste che a convincerlo a diventare fumettista fu un incontro con Alan Moore, che si fermò per un’ora a parlare con lui e gli regalò persino un suo fumetto perché il ragazzo non aveva neanche i soldi per comprarlo. Il secondo fu invece lo scozzese Grant Morrison che – approcciato da Millar per un’intervista – lo scelse come ‘copilota’ di molti suoi progetti fumettistici, permettendo all’esordiente di approdare in fretta anche negli Stati Uniti. La successiva e vivace carriera fra le due sponde dell’Atlantico del novello sceneggiatore confermò l’intuito di Morrison, mentre la sperimentalità di Millar cresceva all’aumentare dei successi. Un apice raggiunto nel 2008 (dopo decadi di lavoro sotto contratto sui progetti delle maggiori case editrici di settore) ideando il fumetto originale “Kick-Ass”, titolo traducibile sia come “Calcio in culo” che come “Fighissimo” nello slang inglese.

La storia di per sé non è nuova. Un giovane adolescente di nome Dave Lizewski, orfano di madre (dettaglio di palese biografismo), decide di combattere il crimine perché ispirato dai fumetti che legge e dalla voglia di non sentirsi più uno sfigato. Il suo primo tentativo lo lascia però sanguinante e mezzo morto sull’asfalto, picchiato selvaggiamente dai criminali che voleva fermare. Col secondo tentativo – dopo numerose operazioni chirurgiche – ottiene maggiore successo, ma rimane comunque così poco sicuro di sé da mentire alla ragazza di cui è infatuato, confermandole di essere gay soltanto per coltivare un’amicizia interessata con lei. La trama continuerà quindi ad aumentare in violenza finché il protagonista non prevarrà sull’inevitabile arcinemico, ma non sulle sue debolezze caratteriali. È infatti lo stesso Dave a informarci che la ragazza per cui si finge gay ha scoperto la bugia e l’ha umiliato inviandogli la foto di una sua fellatio al fidanzato del momento. Immagine alla quale lui reagisce – come confessa ai lettori – con una grottesca e patetica masturbazione consolatoria.

Un finale di completa sovversione del classico lieto fine del viaggio dell’eroe, purtroppo ribaltato nell’adattamento cinematografico del 2010. Un tradimento dell’iconoclastia che aveva reso peculiare il “Kick-Ass” di Millar, compiuto dai produttori per assicurare l’innocuità della pellicola per il grande pubblico.

di Camillo Bosco

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