La daga di Dago
Dago (pronunciato deygoh) era il più comune insulto razzista usato contro gli italiani negli Stati Uniti quando, agli inizi dello scorso secolo, venivano pagati ancora meno dei manovali di colore. Sebbene il termine sia quasi scomparso nella generale italofilia che permea l’America attuale, sino agli anni Settanta fu usato perfino per soprannominare “Ago-Dago” il celebre motociclista Giacomo Agostini. Di dubbio etimo, l’epiteto spregiativo nacque forse per omofonia col termine dagger (pugnale), dando a intendere quanto i nostri antenati fossero facili a risolvere le loro dispute sul filo di una lama corta. È peculiare quindi come sia diventato anche il nome di uno dei personaggi più amati dai lettori di fumetti dello Stivale.
Tutto ha inizio nel 1981 quando la casa editrice argentina Editorial Columba comunica al suo prolifico sceneggiatore di punta, il paraguaiano giramondo Robin Wood, di aver messo sotto contratto il disegnatore Alberto César Salinas. Quest’ultimo, originario di Buenos Aires, è infatti una sorta di divo per il pubblico del Paese latinoamericano grazie alle chine realistiche con cui disegna storie avventurose d’ambientazione storica. La consegna dell’editore è dunque quella di ideare un personaggio su misura per l’artista, che sia epico ed eroico nonché adatto a una miniserie.
Lo stesso Wood è una celebrità nell’ambiente. Nato in una comune e in seguito abbandonato dalla madre in un orfanotrofio, dopo un’adolescenza di stenti ha scoperto nel 1966 che una sola sceneggiatura veniva pagata come due mesi di lavoro in fabbrica. Appassionato di storia, ha iniziato così una carriera assai prolifica in cui i fumetti gli permettono di viaggiare e i viaggi gli permettono di scrivere. Ne è dimostrazione la storia di “Dago” che lo porterà alla consacrazione definitiva: Wood in quel momento si trova a Venezia e, rimasto affascinato dalla complessa storia politica della città lagunare, sceglie un veneziano del XVI secolo quale protagonista della nuova storia.
Il vero nome di Dago è Cesare Renzi, giovane rampollo della Serenissima che rimane ferito nel complotto volto a eliminare la sua intera famiglia. Disperso in mare, viene recuperato da alcuni pirati turchi con ancora la daga degli assassini conficcata nella schiena. Il soprannome eponimo della serie gli viene donato dal capitano ottomano mentre – divertito dall’insolito spettacolo – lo riduce in catene. Inizia così la saga di vendetta del personaggio che da schiavo passerà a giannizzero del sultano fino a diventare un avventuriero errabondo al pari del suo creatore Wood, il quale continuerà a inserire nelle trame costanti e precisi riferimenti storici fino a rendere i grandi del passato personaggi fissi della serie.
Portato in Italia nel 1983 dalla Lancio Edizioni (ora Editoriale Aurea), Wood e Salinas – al quale sono succeduti il disegnatore Carlos Gomez e altri autori – hanno saputo ricombinare per decenni sia la tradizione iconografica rinascimentale sia i tòpoi narrativi e gli stili retorici romanzeschi. Un manierismo leggero e irriflesso che ha donato al fumetto un successo enorme tra il pubblico italiano, contando tra i fan anche il semiologo fumettofilo Umberto Eco a cui è stata persino dedicata una storia titolata “Umberto”.
di Camillo BoscoVOTO:
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