La sopravvivenza di Ken Parker
Il personaggio di Berardi e Milazzo in anticipo sui tempi ma il successo delle varie riedizioni ha mostrato senza dubbio come Ken Parker rappresenti qualcosa di insostituibile per i suoi lettori.
L’epica gutenberghiana di Ken Parker ebbe inizio nel 1974 quando Sergio Bonelli, l’uomo a capo di quella che all’epoca si chiamava Cepim e che ora conosciamo col nome di Sergio Bonelli Editore, si decise ad avviare una collana antologica di storie western di nome “Rodeo”. Con questa iniziativa puntava a incassare l’attenzione dei numerosi lettori che rendevano gli albi di Tex invitti campioni di vendite in edicola.
Quando Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo avevano presentato all’editore la loro storia inedita, questi ne era rimasto così colpito da proporla in una serie eponima. Il personaggio protagonista prendeva in prestito la fisionomia di Robert Redford nel film “Corvo rosso non avrai il mio scalpo” (uscito appena due anni prima) per rappresentare un uomo dallo spirito votato alla ricerca e al dubbio. Jedediah Baker – il primo nome affibbiatogli – non possedeva infatti nessuna verità in tasca pronta a imporsi, nel bene e nel male, con una pioggia di proiettili sulla società. Era invece un trapper che aveva mutuato la weltanschauung (concezione del mondo) dalla sua professione di cacciatore per mezzo di trappole (appunto trap, in inglese). Un mestiere fatto di pazienza e pianificazione, che prescrive l’utilizzo del metodo volta per volta più consono per catturare la preda desiderata. Ben diverso, insomma, dalle abitudini del classico cacciatore abituato alla pratica di snidare e colpire.
Una tale scelta, portata alle estreme conseguenze creative, aveva dato vita a un protagonista dotato di un umanesimo spontaneo e irriflesso: rimastone colpito, Bonelli si limitò a proporre una semplificazione del battesimo originale caratterizzato da troppe dentali. «Ken Parker è un albo la cui poesia ha spesso il sopravvento sull’azione, i dialoghi hanno più importanza degli spari e dei cazzotti, e il montaggio e lo stile narrativo sperimentano continuamente nuove idee e soluzioni» così descrisse il nuovo personaggio giunto nelle edicole italiane nel giugno 1977.
La serie appare quindi come un bildungsroman (romanzo di formazione) in cui il personaggio principale viene modellato dalle avventure, l’esperienza delle quali porta a evolvere i suoi sentimenti e pensieri. Il positivo disorientamento nel trovare un “eroe fallibile” viene poi accentuato dai disegni di Milazzo – essenziali e simili a veloci sketch – che tratteggiano ma non definiscono, aumentando il carattere evocativo (anziché descrittivo) del fumetto.
Apprezzato dalla critica specializzata e oggetto di un culto istantaneo da parte di una schiera di fan accaniti, Ken Parker lasciò subito il segno nella storia di casa Bonelli senza però incidere in quella dei suoi bilanci. Così, dopo la pubblicazione di 59 numeri, la testata chiuse nel 1984 per trasferirsi su riviste fumettistiche specializzate come “Comic Art” e “Orient Express”. A questo seguirono altri passaggi che la portarono alla pubblicazione in autonomia, poi di nuovo in Bonelli e infine alla chiusura seguita però da due ristampe: prima con Panini e in ultimo con Mondadori.
Se la sua travagliata storia editoriale lo definisce come un prodotto forse troppo in anticipo sui tempi, il successo delle varie riedizioni ha mostrato senza dubbio come il personaggio di Ken Parker rappresenti qualcosa di insostituibile per i suoi lettori. Nel 1974 la delusione post-sessantottina dello sceneggiatore Berardi aveva trovato un riverbero poetico nelle matite e negli acquerelli di Ivo Milazzo, dando corpo a un hapax fumettistico di rara delicatezza nel panorama italiano.
di Camillo Bosco
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Tag: fumetti, recensioni
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