L’ennesimo valzer con Bashir
La storia che lega Israele e il Libano è molto complicata: il film d’animazione “Valzer con Bashir” di Ari Folman prova a raccontarla
La storia che lega Israele e il Libano è molto complicata, quasi quanto quella dei due Paesi singolarmente. Uno è il focolaio nazionale di un popolo che per secoli ha vissuto come minoranza nel mondo, mentre l’altro rappresenta l’ultimo retaggio del multiconfessionalismo dell’impero ottomano. Nel lungo confronto fra queste due nazioni conflittuali e confinanti quasi tutti gli israeliani hanno una memoria del Libano, così come i libanesi ne hanno d’Israele, ma quando il regista Ari Folman viene portato da un suo amico in un bar per raccontargli un sogno non sa ancora che lui – invece – il ricordo della sua esperienza in Libano l’ha rimosso.
Il suo ex commilitone gli confessa infatti di vivere lo stesso incubo notturno da ormai due anni: ventisei cani che abbaiano rabbiosi sotto la sua finestra, l’esatto numero di quanti ne ha uccisi durante le incursioni nei villaggi oltreconfine. Nell’avvicinarsi alle case, i latrati notturni prolungati avrebbero annunciato l’arrivo delle squadre israeliane durante la guerra del Libano del 1982. Così venivano falciati silenziosamente da chi, fra i mobilitati, non se la sentiva di sparare agli uomini. Anche Folman è stato un soldato in quella guerra e non si stupisce della necessità di azioni simili, ma si accorge di conservare di tutto quel periodo la sola immagine di un bagno notturno sul lungomare di Beirut. Un frammento allucinato dei giorni terribili del massacro nel quartiere di Sabra e nel campo profughi di Shatila nella zona Ovest di Beirut, popolati da profughi palestinesi massacrati dai falangisti cristiani libanesi.
Inizia così il film d’animazione “Valzer con Bashir”, diretto dallo stesso Folman per raccontare la sua esperienza di ricostruzione mnemonica del suo personale trauma di guerra. Uscito nel 2008, in concomitanza con una sua versione a fumetti e a ridosso di un’altra invasione di Gerusalemme nel Sud del Libano, la pellicola conserva intatta la sua forza. La storia inizia come una qualsiasi opera narrativa, ma presto da percorso introspettivo diventa quasi un’indagine. Quindi sempre più un documentario. Il regista-protagonista viaggia fino ai Paesi Bassi per incontrare un altro suo commilitone, mentre ne rintraccia altri ormai tornati alla vita civile. Parla con psicologi e persino col giornalista Ron Ben-Yishai, inviato a Beirut in quei giorni fatidici.
Con veri e propri flash il mosaico della seconda invasione israeliana del Libano comincia così a ricomporsi, iniziata con i bombardamenti alla frontiera da parte dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e conclusasi con l’occupazione di Beirut. Un percorso che giunge sino all’eponimo valzer con Bashir: la ‘danza’ di un soldato israeliano impegnato in uno scontro a fuoco nei giorni successivi all’omicidio del leader dei cristiano maroniti Bashir Gemayel. Il massacro di Sabra e Shatila è la vendetta seguaci di Gemayel contro i palestinesi che avevano organizzato l’attentato: un eccidio le cui vittime oscillano tra 762 e 3.500 e compiuto sotto gli occhi degli israeliani, che lo fermarono soltanto dopo tre giorni. Folman si ricongiunge quindi con la versione di sé sotto le armi, lasciando come commento finale il lamento – quello vero, filmato sul posto – delle donne palestinesi che ritornano nelle case devastate e ingombre di cadaveri.
È il momento in cui l’intermediazione del disegno, già molto modellato su riprese dal vivo, scompare del tutto per lasciare il posto alla realtà del dramma delle tensioni etniche che dilaniano il Medio Oriente. Dopo il 1975, il 1982 e il 2006 oggi siamo alla quarta volta in cui gli attacchi oltreconfine obbligano le Forze armate israeliane a sconfinare, obbligate a tentare di chiudere con la violenza un cerchio di traumi senza fine.
di Camillo Bosco
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