Trottolini frammisti a cuoricini
Perché i tormentoni ci ossessionano così tanto da non lasciare la mente per giorni interi? Si tratta della sindrome della canzone bloccata (earworm)
Trottolini frammisti a cuoricini
Perché i tormentoni ci ossessionano così tanto da non lasciare la mente per giorni interi? Si tratta della sindrome della canzone bloccata (earworm)
Trottolini frammisti a cuoricini
Perché i tormentoni ci ossessionano così tanto da non lasciare la mente per giorni interi? Si tratta della sindrome della canzone bloccata (earworm)
Perché i tormentoni ci ossessionano così tanto da non lasciare la mente per giorni interi? Si tratta della sindrome della canzone bloccata (earworm)
Faceva «Trottolino amoroso» e al solo sentirla i neuroni in coro intonavano «du-du-da-da-da». Non c’era e non c’è ancora oggi verso: anche soltanto a leggere quelle parole (non serve nemmeno ascoltare la musica), la risposta è sempre la medesima. Un tarlo generazionale che totalizzò ben dieci dischi di platino, quello di “Vattene amore”, titolo vero e ignorato della canzone che arrivò terza al Festival di Sanremo 1990. Tarlo che si inserisce nella tradizione delle «pinne, fucile ed occhiali» e dell’«abbronzatissima sotto i raggi del sole» degli anni Sessanta, o della post apocalittica «Vamos a la playa oh-oh-oh-oh-oh» degli anni Ottanta.
Sembrano molte ma non lo sono, perché azzeccare il tormentone è l’operazione più difficile (e redditizia) del panorama musicale: ci provano tutti, ci riesce qualcuno per una stagione e poi la canzone, sul tempo lungo, svanisce come neve al sole. Di quest’ultimo Sanremo rimarranno per esempio “Cuoricini” dei Coma_Cose («Ma tu volevi solo cuoricini, pensavi solo ai cuoricini»…) – classificatasi al decimo posto, ma già sdraiata sotto l’ombrellone in riviera – e il jingle del festival “Tutta l’Italia” che ha vinto a mani basse senza peraltro essere in gara, firmato dal re della consolle Gabry Ponte, deejay e producer più ascoltato al mondo su Spotify. Un milione di streaming in una settimana, è un mix fra folklore italiano e beat elettronico. Ma, a leggere fra le righe, il testo gioca sui ben noti stereotipi «Siamo tutti dei bravi ragazzi spaghetti, vino e Padre nostro».
Finché lo scrive un italiano è tutto a posto, ma se a prendere in giro la cultura tricolore è addirittura un estone, si rischia il caso internazionale: succederà all’Eurovision Song Contest previsto per maggio a Basilea, per il quale è stata ufficialmente selezionata dall’Estonia una canzone che deride platealmente gli italiani. Si intitola “Espresso macchiato” e la canta un certo Tommy Cash: straparla di spaghetti ma anche di mafia chiedendo a gran voce un «Espresso macchiato, mi amore, por favore». Un flow di rime caricaturali che, nonostante la colossale burla, entrerà nei cervelli del Bel Paese.
Ma perché i tormentoni ossessionano così tanto da non lasciare la mente per giorni interi? Si tratta della sindrome della canzone bloccata (earworm), tema caro alla psicologia dato che il ritornello colpisce la corteccia uditiva primaria sinistra e può provocare stress e disagio – capita a nove persone su dieci in una settimana – nonché diventare causa di insonnia. Due studiosi australiani, Jadey O’Regan e Tim Byron, si sono chiesti che cosa produca questo risultato. In psicologia l’effetto ‘di prossimità’ e quello ‘di refrain’ (tipici del ritornello), oltre a una melodia semplice, fanno sì che questo si intrappoli nella mente. Ma deve apparire quasi subito: gli studi dimostrano che un ascoltatore medio passa a un’altra canzone già dopo soli sette secondi se non la trova interessante.
La memoria implicata nel fenomeno è, per fortuna, quella a breve termine. Per liberare la mente, se non funziona concentrarsi su altro, sarà utile masticare un chewing gum e pensare che l’earworm potrebbe essere utilizzato a proprio vantaggio in tema di apprendimento: alcuni studi sostengono infatti che, sostituendo le parole della canzone con quelle che dobbiamo memorizzare per studio o lavoro, il ritornello rimarrà in testa con informazioni utili. Se non si può uccidere il tarlo, almeno lo si può addomesticare.
Di Nathalie Santin
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