Askatasuna e i suoi fratelli (tensione oggi a Torino)
Torino, i militanti del centro sociale Askatasuna minacciano di scendere in piazza – non proprio con spirito natalizio – per protestare contro la decisione di sgomberare la sede e il successivo blitz di giovedì
Askatasuna e i suoi fratelli (tensione oggi a Torino)
Torino, i militanti del centro sociale Askatasuna minacciano di scendere in piazza – non proprio con spirito natalizio – per protestare contro la decisione di sgomberare la sede e il successivo blitz di giovedì
Askatasuna e i suoi fratelli (tensione oggi a Torino)
Torino, i militanti del centro sociale Askatasuna minacciano di scendere in piazza – non proprio con spirito natalizio – per protestare contro la decisione di sgomberare la sede e il successivo blitz di giovedì
La giornata di oggi comincia non sotto i migliori auspici a Torino, dove gli aderenti al centro sociale Askatasuna hanno minacciato sin da quarantott’ore fa di scendere in piazza – non proprio con spirito natalizio – per protestare contro la decisione di sgomberare la sede e il successivo blitz di giovedì.
Parliamo, peraltro, di uno dei centri sociali italiani con lo “storico” oggettivamente più inquietante in materia: una lunga teoria di episodi molto violenti, legati per esempio a tutta la retorica della protesta No Tav. Un luogo, la loro sede sgomberata a Torino, dove è sempre stato impossibile entrare per giornalisti per così dire “non allineati”. E non è l’aspetto più inquietante.
Ci risiamo, dunque, con i centri sociali: vero e proprio fenomeno carsico. Il tema è destinato a esser tirato fuori dal cassetto a regolare cadenza pluriennale, quando si decide di fare un po’ di “pulizia” perlopiù mediatica su realtà tollerate per decenni. Non ci riferiamo, come ovvio, solo al caso torinese, ma la mente corre al leggendario Leoncavallo di Milano o alla sempiterna questione di Casapound a Roma.
Perché nella storia dei centri sociali italiani sarebbe sbagliato limitarsi alla lettura da sinistra, visto che il fenomeno esiste eccome anche da destra, sia pur con vestiti diametralmente opposti. Sono i metodi a essere spesso simili, anche se ai militanti dell’una e dell’altra parte ricordarlo provoca un’inevitabile orticaria. Perché l’occupazione abusiva di immobili è il cardine comune di un’ideologia e di un modus operandi.
Che siano comunisti o fascisti, si prende uno spazio più o meno abbandonato e lo si converte a usi politici e simil culturali. Il “ricatto” morale è scoperto: noi restituiamo alla città e alla comunità aree altrimenti abbandonate al degrado, in cambio di una sostanziale impunità davanti alla legge. Ed è qui che il giochino va in cortocircuito, con la suddetta cadenza pluriennale.
Perché non c’è nessun’anima genuinamente liberale e democratica che possa dirsi contraria all’esistenza di spazi di libera aggregazione e cultura, pur dalle ispirazioni più diverse se non direttamente opposte. Tutt’altra faccenda, almeno in teoria, sarebbe tollerare l’illegalità. Se non addirittura cercare contorsionismi dialettici per giustificare veri e propri atti di sopraffazione o violenza.
I centri sociali non sono solo un problema di ordine pubblico, per tutti i motivi appena esposti, ma far finta che il tema non esista è ipocrita. Lascia presagire un continuo e periodico emergere e inabissarsi del fenomeno, in base al colore del governo in carica e dell’alternanza delle maggioranze. Atteggiamento in ogni caso opportunista, a dir poco.
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche