Dove sono finiti i lavoratori?
A settembre negli Usa per ogni disoccupato c’erano 1,86 posti di lavoro vacanti. Diverse le cause di questo fenomeno che riguarda da molto vicino anche l’Italia
Dove sono finiti i lavoratori? È la domanda del momento. Tutti li cercano disperatamente ma loro, i disoccupati, si sono nascosti da qualche parte. A settembre negli Stati Uniti c’erano 10,7 milioni di posti di lavoro vacanti. Significa che per ogni persona in cerca di occupazione ci sono 1,86 posti di lavoro tra cui scegliere. È un problema serio in tutti i settori, con molte aziende che fanno fatica a trovare personale e che offrono salari iniziali fino a 20 dollari l’ora. I media hanno parlato di questo problema in modo semplicistico? La colpa è dei fondi di soccorso post pandemia? I salari sono ancora troppo bassi? Le persone hanno perso la voglia di lavorare?
Come sempre la verità si trova nel mezzo, anche se alcune considerazioni sono necessarie. E una di queste riguarda le donne e il mondo del lavoro. Negli Usa il tasso di partecipazione femminile al lavoro nel 2021 era del 57,3%. Non accadeva dal 1988. Durante il Covid qualcuno è dovuto rimanere a casa per fare da insegnante ai figli o da badante a un nonno. Per molti la scelta è stata quella di lasciare il lavoro per poter svolgere questi compiti. Le donne, appunto. Negli States si arriva a 1,9 milioni di donne assenti dalla forza lavoro. Bisognerebbe, a questo punto, concentrarsi sul lavoro femminile trovando dei modi per riavvicinare le donne all’occupazione: lavoro da casa, supporto e assistenza all’infanzia e così via.
Ma cosa succede in Italia? Anche qui c’è carenza di lavoratori, si sa. Ci sono però altre considerazioni da fare. Ad esempio, il calo motivazionale che allontana le persone dai lavori considerati meno desiderabili. Molti hanno perso la voglia di fare lavori stancanti o poco gratificanti, scegliendo di rimanere in cerca di occupazione piuttosto che accettare un’offerta che non soddisfa le loro aspettative. Certo, possiamo intervenire stimolando le aziende a creare ambienti più inclusivi, rispettosi, che valorizzano le competenze del singolo. E magari aumentare il salario nei lavori meno desiderabili. Ma qualcosa ci dice che non sarà sufficiente. Il cambio culturale stimolato dalla pandemia – e peggiorato dall’inquietante quadro economico e politico – ha generato effetti in profondità, segnando l’anima di molti. La peste non fa distinzioni, suggeriva il Manzoni. Eppure noi crediamo che la peste moderna le distinzioni le abbia fatte eccome. Tra chi ha voglia di darsi da fare e chi no.
Di Daniel Bulla