Gino Mader: morire in bici a 100 all’ora
Gino Mader andava a 100km l’ora quando è uscito di strada nella quinta tappa del Giro di Svizzera. Una riflessione, doverosa, sul ciclismo odierno

Gino Mader: morire in bici a 100 all’ora
Gino Mader andava a 100km l’ora quando è uscito di strada nella quinta tappa del Giro di Svizzera. Una riflessione, doverosa, sul ciclismo odierno
Gino Mader: morire in bici a 100 all’ora
Gino Mader andava a 100km l’ora quando è uscito di strada nella quinta tappa del Giro di Svizzera. Una riflessione, doverosa, sul ciclismo odierno
AUTORE: Federico Bulsara
Andava a 100 km l’ora quando è uscito di strada precipitando in un burrone. Non era a bordo di un’auto né su una moto: era in sella alla sua bicicletta. Se verrà confermata la velocità rilevata dallo staff al seguito della corsa, la tragedia che è costata la vita a Gino Mader, giovane corridore originario del Canton San Gallo, impegnato nella quinta tappa del Giro di Svizzera, ha già almeno una possibile spiegazione.
Il ciclismo professionistico è da tempo ormai un altro sport rispetto a quello di epoche leggendarie alla Coppi e Bartali. Ma è anche profondamente diverso da tempi più recenti: quelli di Moser, Bugno, Pantani e Cipollini. Oggi può accadere che un ventiseienne a una curva si schianti in una scarpata, a soli 14 km dall’arrivo, dopo averne già percorsi 197. Al termine di un volo spaventoso, dopo aver picchiato con la testa contro i blocchi di cemento sul ciglio della strada.
Il ciclismo di oggi è diventato una questione da laboratorio, animato da atleti inguainati in tutine fantascientifiche, dei quali è impossibile anche solo intuire la fatica sul volto nascosto da caschi spaziali. Campioni superallenati che sfrecciano a bordo di mezzi sempre più distanti dal concetto di bicicletta tradizionale, con posture incomprensibili ai più, per giunta a velocità da scooter truccato.
Succede così che si perda il controllo di due ruote spesse come un dito. E che, come in diverse altre occasioni analoghe in un passato recente, la corsa neanche si fermi.
di Federico Bulsara
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